Tanti auguri, Inter!
Un giorno da cerchiare sul calendario degli interisti, questo 9 marzo. Esattamente 97 anni fa, alcuni soci dissidenti del Milan Football and Cricket Club si riunivano nell’albergo-ristorante Orologio per dar vita ad un nuovo sodalizio calcistico, chiamato Internazionale proprio per contrapporsi con una nuova mentalità, più aperta all’estero, alla politica autarchica della società madre, avversa agli stranieri in squadra. Ora, che l’Inter si presenta in campo anche con undici stranieri, verrebbe da pensare ch’era tutto scritto. La nuova società sportiva milanese che, come diceva l’avv.Peppino Prisco, non ha mai rinnegato le sue ‘umili origini’, fu subito sposata dai più bei nomi dell’aristocrazia milanese. Come colori, furono scelti il nero della notte e l’azzurro del cielo e, come simbolo, un cerchio d’oro nel quale il pittore Giorgio Muggiani riuscì ad intrecciare le quattro iniziali della società, FCIM. Gli inizi furono fortunati: nel 1910, a meno di due anni dalla fondazione, arrivò il primo scudetto e poi titoli ad ogni decennio, mentre il Milan era precipitato in una crisi che lo lasciò senza vittorie per 44 anni. Nel primo dopoguerra, invece, le due milanesi tornarono a vincere, disputandosi a suon di scudetti l’eredità del grande Torino. Poi giunse l’Inter più grande, quella euromondiale di Angelo Moratti e di Helenio Herrera, che chiuse trionfalmente gli anni ’60. Ma oggi, in questi tempi di vacche magre, c’è poca voglia di celebrare il 97° anniversario, così come tre settimane fa non si festeggiò nemmeno il decennale della proprietà Moratti. Oggi i tifosi più anziani trovano pace soltanto viaggiando nella memoria di un albo d’oro ingiallito dal tempo, mentre i più giovani anelano, con entusiamo disarmante ma mai disarmato, al ritorno all’antico splendore, quando nerazzurro era il colore del Pianeta. Ma tra passato e futuro c’è un presente ancora tutto da scrivere, incastonato come un diamante in una partita da non sbagliare, quell’Inter-Porto che il 15 marzo vedrà San Siro ancora una volta tutto esaurito. Da lì si riparte, perchè solo se l’Inter ricomincerà a vincere si tornerà a festeggiare.
La prima Inter “deitalianizzata” che ho visto era una compagine di stranieri demotivati che soccombeva nella primavera del 1999 all’Arechi di Salerno contro una Salernitana scatenata e guidata da Giampaolo, Breda e Di Michele. Ricordo con tristezza quel pomeriggio, forse perchè si trattava di uno dei tanti rientri trionfanti di Ronaldo, forse perchè si cominciava ad avere dubbi su Pagliuca (chiedere a Mazzone come è finita) o forse perchè non riuscivamo nemmeno a tenere il conto degli allenatori cambiati durante la stagione. Domenica contro il Lecce mi sono accorto che non c’erano italiani in campo verso il ventesimo e la cosa mi ha colpito. Sarebbe operazione lunga e noiosa l’individuare le cause che hanno portato alla scomparsa delle bandiere, dei giovani italiani lanciati in coppa dei campioni, dei giocatori dall’uno all’undici citati a memoria anche 100 anni più tardi. Lo chiamano calcio globale, calcio-business, calcio-Tv dipendente: io preferisco chiamarlo calcio artificiale. Dicono che tale processo investe inevitabilmente ogni settore economico del sistema produttivo: qui sta a mio parere l’errore, considerare il calcio un tassello del sistema economico-produttivo, per cui il fattore denaro è sempre più decisivo rispetto ai valori umani ancor prima di quelli tecnici. Come non pensare a Zenga che scende in campo a 20 anni direttamente dalla curva nord. Come dimenticarsi di Nicolino Berti che non mancava mai all’appuntamento con il gol nei derby, come non rammaricarsi che non ci sia più un Angelo Orlando che correva, correva, correva e scaldava il pubblico manco fosse un 10 brasiliano. Non si vogliono assolutamente proporre moralismi scontati del tipo “si stava meglio quando si stava peggio” ma ahinoi i fatti sono sotto gli occhi di tutti. Servono capisaldi, giocatori interisti dalla nascita o che lo diventino, uno zoccolo duro che conosca i discorsi da bar del lunedi e capisca quanto un interista sia feli ce se si batte la Juve. Un dato su tutti: il Milan vince scudetti, Champions e derby e da 20 anni ci sono 3 o 4 nomi che non mancano mai. Potremmo magari imparare qualcosina dagli odiati cugini (e dire ciò non sapete quanto mi faccia male).