La questione Mancini
Visto il dibattito sempre più serrato, vi dico quello che penso sulla cosiddetta ‘questione Mancini’, riguardante i continui rinvii della firma sul contratto con l’Inter. La vicenda è tremendamente più seria e delicata di quanto si possa credere. Le parti spiegano i tempi lunghi solo per una scaramanzia a seguito dell’incredibile filotto di vittorie, ma credo più all’eventualità di fare l’amore con Nicole Kidman entro il prossimo week-end! Fino ad un po’ di tempo fa Mancini pareva avere in tasca il rinnovo sulla parola in caso di vittoria del campionato, ma ammesso fosse vero, lo scudetto a tavolino in questo caso specifico è stato ignorato. Palpabile il malumore di Moratti sul tema, visto che ne sono stato testimone diretto, con una domanda diretta al Presidente poco prima dell’ultimo Natale, respinta da una risposta un po’ seccata. Ultimamente tengono banco i rapporti tra Mancini e Branca e tra Mancini e il medico sociale, il dottor Franco Combi. Nei giorni dell’infortunio alla testa di Ibrahimovic ho parlato un po’ con Combi e ho capito come Mancini intende la componente sanitaria in una squadra di calcio: in senso inglese, dove il medico sociale può anche non essere un ruolo rigidamente inquadrato all’interno alla società. In effetti, in Premier League, le normative sono differenti e non è raro che i veri medici del club siano consulenti esterni alla vita della squadra. Moratti ha poi chiuso la questione spiegando che Ibrahimovic, prima ancora che da Combi, era stato fermato da un consulente esterno. Non ritengo tuttavia che la questione legata al ruolo del medico, ancorché di Combi nello specifico, sia così pregiudizievole per la permanenza del Mancio sulla panchina dell’Inter. E oggi, nemmeno il ruolo di Marco Branca che, dopo qualche defaillance iniziale, ha preso confidenza nel ruolo, diventando nel giro di un biennio tra i dirigenti più stimati in Europa. E’ vero che quand’erano calciatori e compagni di squadra nella Sampdoria, Mancini e Branca non avevano grande feeling, ma nella vita si cresce e si impara a stimarsi e alavorare insieme per il bene comune. Insomma, credo che il vero nodo sia noto e legato proprio a quell’idea di Massimo Moratti, legittima per carità, di contattare in via riservata e per interposta persona Fabio Capello lo scorso aprile, poco prima che lo scandalo di Calciopoli diventasse un tornado. Il Mancio venne a saperlo, come molti di noi nell’ambiente, e ci rimase male. Ad un amico confidò: “Perché Moratti non mi dice in faccia che vuole liquidarmi?” C’è da aggiungere che nel primo biennio nerazzurro, il Mancio non sempre si è sentito adeguatamente difeso e protetto dalla società. Moratti e Mancini sono due teste dure e, a volte, uno resta di stucco per l’agire dell’altro, come quando il tecnico decise di dare prova della sua personalità di fronte a Moratti e alla squadra spedendo Adriano in Brasile nel periodo più delicato di questa stagione, alla vigilia di partite importanti in Champions ed in campionato. Credo poco invece all’ipotesi che il Presidente sia diventato un po’ geloso dei successi personali di Mancini e al timore che quest’Inter possa diventare la squadra del tecnico più che del Presidente. Al di là degli innegabili meriti di Mancini, la figura di Moratti resta troppo carismatica per temere confronti e questa grande squadra è prima di tutto l’Inter di Moratti, per la pazienza, la tenacia e per gli sforzi economici per costruirla. In passato qualcosa del genere è accaduto in casa Inter: si narra che nel ’92 Ernesto Pellegrini decise di liberarsi dell’allora direttore generale Paolo Giuliani, artefice con Trapattoni dell’Inter dello Scudetto dei record, della prima Supercoppa Italiana e della prima Coppa Uefa, quando negli uffici di via Costanza arrivò una copia del magazine tedesco Stern, con un lungo servizio dedicato a Paolo Giuliani per l’acquisto-lampo di Mathias Sammer, in cui la figura presidenziale era pressoché ignorata. E Pellegrini, colto da attacco di gelosia per i riflettori costantemente puntati sul suo primo dirigente, cercò il casus belli per liberarsene. Lo trovò nel giro di pochi giorni intorno ad una grana contrattuale di Brehme e così Paolo Giuliani fu costretto a lasciare l’Inter di Pellegrini, che non vinse più nulla e affondò. Sammer arrivò comunque ma a condizioni contrattuali ben più onerose di quelle concordate in amicizia tra Giuliani e Hoeness, allora direttore generale dello Stoccarda. Tornando a noi, riusciranno i nostri eroi a superare le incomprensioni? Lo spero vivamente, ma al momento non ci scommetterei un euro! Come non bastasse, Mancini adora il mondo ed il calcio inglese, dove la pressione dei media è decisamente attenuata. In fondo, per il Mancio i giornalisti sono prima di tutto dei rompicoglioni e al Chelsea Mourinho i coglioni li ha rotti ad Abramovich, ancora più di noi al Mancio. Ad Abramovich non dispiace questo Mancini che ha ammazzato la serie A e la vignetta di Valerio Marini pubblicata qui sopra è quanto mai azzeccata. La Champions che finalmente torna resta un banco di prova per entrambe le parti: per Moratti per spazzare via ogni residuo di dubbio sulle grandi qualità del suo Mancini e a quest’ultimo per prendersi la più grande rivincita della sua ancor giovane carriera. Per concludere, non avete ancora capito se il Mancio siederà ancora sulla panchina dell’Inter! Beh, nemmeno io, altrimenti avrei scritto una riga e non un poema!
Caro Gian Luca, da più parti si sostiene che l’avventura del Mancio all’Inter sia al capolinea. Si parla di rapporti tesi con Moratti per via della vicenda Combi e del cattivo rapporto tra il tecnico jesino e Branca. Si parla di un interessamento del Chelsea, il cui fascino inglese, lo sappiamo, non è indifferente a Mancini. Siamo ancora a livello di chiacchiere da bar e sono felice per questa stagione entusiasmante, ma mi turbano queste voci. Un caro saluto, Lorenzo.