Barcellona: cronaca di un tripudio
A Barcellona mercoledì 28 aprile 2010 io c’ero ed è stato puro tripudio. La mia giornata era cominciata presto: alle 8.15 ero già atterrato puntualissimo all’Aeroporto di El Prat. In mezz’ora stavo nel cuore della città, in Plaza de Catalunya, già traboccante di gente con i colori del Barça. Un giro in Paseo de Gracia, giusto per prendere confidenza in posti che conosco da anni. Solito albergo in centro, solito ristorante, e l’arrivo dei primi interisti. Chi in aereo, chi in auto, chi in camper. Alle 11 decido di andare al Camp Nou, giusto per capire che ambientino mi aspetta. Lì incontro una decina di tifosi interisti, appena arrivati da Milano, senza biglietto. Mi raccontano che gli hanno proposto un paio di tagliandi a 500 euro l’uno. Hanno lasciato perdere. A queste condizioni la partita la vedranno in Tv o magari la ‘ascolteranno’ con l’audio di fondo originale all’esterno dello stadio. A Barcellona ho un caro amico, Txema, tifosissimo del Barca. Mi confida che se la sta facendo sotto perché i suoi sono tesi da giorni e non sono abituati a tanta pressione. Lo tranquillizzo, ma in realtà spero che sia proprio così. In effetti la notte precedente alcuni ragazzacci hanno tenuto un concertino con tamburi e pentolame davanti all’Hotel Juan Carlos I, dove l’Inter sta in ritiro, nel tentativo di rovinare il sonno a tutti. Impresa parzialmente riuscita, per il tardivo intervento dei Mossos d’Esquadra, i nostri vigili. Nel pomeriggio era accaduto pure di peggio con calci e sputi all’auto che portava Mourinho alla conferenza stampa della vigilia e si sono visti perfino alcuni esattori delle tasse nell’albergo dell’Inter per chiedere ragione a Samuel Eto’o di un presunto ammanco di anni fa, quand’era ancora un lavoratore spagnolo. Insomma, clima pesante! Meglio distrarsi. Così me ne vado a visitare per l’ennesima volta il Museo del Barcellona al Camp Nou e faccio pure una puntata al negozio ufficiale, alla ricerca della T-Shirt con la scritta ‘Nos vamos a dejar la piel’, ossia venderemo cara la pelle, indossata dai barcellonisti al termine dell’anticipo con lo Xerez il sabato precedente. La vorrei come souvenir, ma ce l’hanno solo i calciatori del Barça. Intanto le ore passano, provo a dormicchiare un po’ in albergo, ma non ci riesco. Così, già prima delle 18, entro allo stadio. Manca un’eternità. Alle 20 mi collego ancora con Telelombardia, ma lo stadio, a tre quarti d’ora dal fischio d’inizio, è ancora vuoto. In Spagna non ci sono tornelli, perquisizioni e controlli capillari. Gli spettatori arrivano all’ultimo istante. Sulle gradinate opposte alla Tribuna Stampa ci sono solo poche migliaia di tifosi interisti. Ora manca solo mezz’ora. Mi distraggo un attimo e il Camp Nou si riempie in ogni ordine di posto. Sembrano cavallette impazzite. Mi ricordano la sigla di 90° minuto di tanti anni fa, quella con le immagini di uno stadio che va stipandosi a velocità vertiginosa. All’inizio della partita la coreografia è impressionante, con 98.000 spettatori che impugnano cartoni rettangolari con la scritta ‘remuntada’ ossia rimonta: cantano tutti a squarciagola! Non smetteranno mai, soprattutto dopo che l’Inter si ritrova presto in dieci per l’espulsione di Thiago Motta, ma col passare dei minuti finiranno schiacciati dalla pressione psicologica che lascia l’Inter per trasferirsi sul Barcellona. Ibra non la prende mai e finisce sostituito tra i fischi, Messi s’infrange puntualmente sulla muraglia nerazzurra. Il pubblico del Barça va in delirio solo al tardivo gol di Piquè, zittendosi di colpo al fischio finale, quando scatta il tripudio interista, con Mourinho che corre tra gli idranti che innaffiano il terreno, giusto per disturbare la fiesta. Lo Special One sfreccia per il campo coll’indice verso il cielo e i nostri si abbracciano ebbri di felicità. L’Inter è in finale, l’Inter è a Madrid! Vedo gente piangere di gioia e di rabbia. Noi in orgasmo, loro disperati, soprattutto per il sogno infranto di non poter vestire di azulgrana il Santiago Bernabeu, il tempio dell’odiato Real, vincendogli in faccia la Champions League. Per settimane hanno mischiato, in un’insalata catalana, rivalse sportive e politiche, come il mai sopito indipendentismo dall’odiata Madrid centralista, scomodando persino reminiscenze della Guerra Civile Spagnola, quando la Barcellona Repubblicana si oppose col sangue alla franchista Madrid. La guerra dei nervi li ha inghiottiti e sembrano tutti allucinati. Per noi invece è una notte di gioia indescrivibile. Io c’ero.
Post Scriptum
E c’ero anche il giorno dopo, perché certe vittorie bisogna gustarsele fino in fondo e il day after in casa del rivale, quando si vince, è quasi meglio del giorno della partita. L’amico Txema mi ha portato a far colazione in un circolo barcellonista: mai viste tante facce di legno tutte insieme. I giornali spagnoli il giorno dopo sono impietosi, soprattutto con Ibra. Un titolo mi resterà sempre impresso, quello di AS. Recita: ‘Cibeles duerme tranquila’, ovvero Cibele dorme tranquilla.
Cibeles è la fontana di Madrid dove i tifosi del Real sono soliti festeggiare i solo successi, Speravano tanto di andarci quelli del Barça in segno di eterno sfregio. Invece a Madrid ci va una grandissima Inter.
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