Inghilterra: ManU 20 e lode
di Andrea Ciprandi da http://andreaciprandi.wordpress.com
Con la fresca conquista della Premier League, il Manchester United è rientrato nel ristretto gruppo di squadre capaci di vincere il campionato almeno venti volte. Giocasse in Italia potrebbe cucirsi sul petto le due stelle d’oro, oltre a quella d’argento per i trionfi nella coppa nazionale che avrebbe già da quasi quindici anni.
Gli straordinari risultati ottenuti dai Diavoli Rossi nell’ultimo ventennio sono coincisi con la nascita della Premier League. Prima del 1992-93, stagione d’esordio della massima divisione inglese com’è strutturata ancora oggi, avevano infatti vinto appena 7 titoli ed era addirittura dal ’67 che non si laureavano campioni. Nonostante nei successivi venticinque anni avessero poi raccolto molti altri trionfi fra coppe nazionali ed Europa, arrivando a essere annoverati fra i club più gloriosi al mondo, il definitivo salto di qualità è dipeso proprio dalle massicce affermazioni arrivate nell’era moderna in campionato. Questa competizione, nel frattempo, anche in Inghilterra ha finito per assumere più importanza della principale coppa nazionale per via dell’accesso che garantisce alla competizione a sua volta più importante di tutte e ai suoi soldi, la ricca Champions League che vide la luce nel ’92, praticamente insieme alla Premier.
Un confronto in particolare risulta illuminante al che si analizza l’andamento del campionato inglese in tempi recenti. Prima della Premier League, quindi dal 1888-89 al 1991-92, grazie alle tantissime affermazioni ottenute dagli anni Sessanta in poi dominatore era il Liverpool. I Reds erano stati capaci di vincerlo ben 18 volte, 8 più dell’Arsenal, 9 più dei cugini dell’Everton e addirittura 11 più dell’Aston Villa e dei loro rivali storici ossia proprio il Manchester United. Ebbene, dopo la loro ultima affermazione (1990) e con gli ultimi due titoli della vecchia First Division andati ad Arsenal e Leeds, da quando è nata la Premier League non hanno più vinto una sola volta e lo United ha finito per sorpassarli e staccarli nella classifica dei campionati vinti.
Illuminanti sono i numeri dello United in Premier League. Di 21 edizioni disputate ne ha vinte 13, con le restanti 8 che si sono divise appena altre 4 squadre: Arsenal e Chelsea (3 a testa) e Blackburn Rovers e Manchester City (1). Per di più non è mai arrivato peggio che terzo. Delle 5 volte in cui è finito secondo, 3 l’ha fatto per un solo punto e una addirittura solo per differenza reti. Le tre occasioni in cui invece è finito sul gradino più basso del podio corrispondono alle uniche stagioni in cui ha avuto un autentico passaggio a vuoto (dal 2002 al 2005 ma con l’eccezione del 2001 in cui ha vinto ancora) al punto che il ritardo rispetto ai vincitori è variato fra i 10 e i 18 punti. Questo periodo di flessione, coinciso all’ultimo acuto di Wenger e all’arrivo di Mourinho, si è protratto fino al 2006, stagione in cui si è chiuso l’unico triennio di digiuno dal titolo, ma a controbilanciarlo ci sono altre serie invece incredibilmente positive: due infatti sono le sue doppiette e due anche le triplette, quel che gli americani chiamerebbero rispettivamente ‘back-to-back’ e ‘three-peat’, risultati di grande rilievo di per sé ma addirittura eccezionali se ottenuti in poco più di tre lustri.
Questa stupefacente e infinita stagione ha un’altra peculiarità che la rende unica. Alla guida della squadra infatti, c’è sempre stato Alex Ferguson. Da questa gestione, a sua volta, deriva un’altra caratteristica oggigiorno decisamente rara: quella della continuità, con giocatori che c’erano in principio e giocano ancora oggi, col risultato che benché ci sia stato un naturale rinnovamento l’identità non è mai andata persa e non si sono mai verificati gli stravolgimenti tecnici e di rosa che invece altrove sono stati fondamentali per il raggiungimento di grandi risultati. Ryan Giggs e Paul Scholes sono certamente i simboli di questa politica, avendo esordito a principio degli anni Novanta più o meno contemporaneamente a Beckham e ai fratelli Neville. Gary Neville, a proposito, si è ritirato appena due anni fa dopo un’intera carriera con la stessa maglia ed è sorprendente che con lui, Giggs e Scholes, facenti tutti parte dei cosiddetti ‘pulcini di Ferguson’, sia sopravvissuto praticamente fino a oggi un quarto dello United che quasi quindici anni fa, imbottito di poco più che ventenni tutti provenienti dal vivaio, rivinse la vecchia Coppa dei Campioni.
La longevità non è quindi l’unico elemento caratteristico di un’altra prerogativa del club che di questi tempi sorprende: accanto a grandi colpi di mercato, nel senso di costosi, si è infatti sempre badato al settore giovanile e allo scouting. Oltre ai nomi già fatti, compreso quello di Beckham che pure ha lasciato il club ancora relativamente giovane, ma anche Butt, tutti provenienti dall’Academy, vanno infatti ricordati, limitandosi ad alcuni, Paul Ince, Giuseppe Rossi, Cristiano Ronaldo e Chicharito Hernandez. Questi ultimi, oltretutto, comprati per relativamente poco hanno fruttato al meglio sul campo e in alcuni casi anche in fase di mercato al che sono stati venduti a cifre più o meno astronomiche. Cristiano Ronaldo, prelevato dallo Sporting Lisbona per 15 milioni, da solo ne ha fruttati 80 al che è stato ceduto al Real Madrid – lo stesso club che sei anni prima ne aveva pagati 25 per Beckham, costato niente allo United provenendo dalle sue giovanili.
Lo United moderno, la società sportiva più ricca al mondo assieme ai New York Yankees, è sicuramente diventato quel che è anche grazie ai soldi. Ma ha innanzitutto fatto fruttare gli introiti dipendenti da tante vittorie, anche europee; più vinceva, infatti, più guadagnava. E’ quindi giusto fare una distinzione rispetto ad alcuni club che nell’ultimo decennio hanno improvvisamente visto ingrassare le proprie casse, e conseguentemente cambiare i propri orizzonti, quasi esclusivamente grazie a improvvise e faraoniche iniezioni di denaro effettuate da investitori stranieri.
Alla già citata assenza di campagne di rinnovamento stravolgenti, va aggiunto che gli investimenti sono sempre stati ben distribuiti. Pur facendo parte di un’élite economica, dal punto di vista squisitamente sportivo lo United non ha mai agito con avventatezza né tanto meno con arroganza. Andando a ritroso nel tempo e guardando alle sue stelle più luminose fra quelle più costose, è facile individuare singoli colpi di mercato certamente proibitivi per la maggior parte degli altri club ma comunque piazzati con grande parsimonia se si considera che stiamo parlando di vent’anni. Gli acquisti di van Persie, Berbatov, Nani, Carrick, Rooney, Rio Ferdinand, van Nistelrooy, Veron e Sheringham, per arrivare a Cantona che col suo arrivo dal Leeds ultimo campione della First Division (per appena 4 punti sempre sullo United, a proposito) trasferì di fatto il testimone del dominio nazionale all’Old Trafford, dimostrano che non c’è mai stato più di un campione o ‘top player’ che dir si voglia a segnare il passaggio da un ciclo all’altro.
Questo resoconto vuol’essere una testimonianza di una delle avventure calcistiche più esaltanti dei tempi moderni. Ma serve anche a capire che, pur coi meccanismi propri del momento, il Manchester United ha continuato ad agire nel segno di una grande tradizione. E’ impossibile dimenticare le vicissitudini seguite alla tragedia di Monaco, la Superga britannica. Era il 1958 e una generazione di talenti venne stroncata sulla pista dell’aeroporto bavarese, nel pieno di una crescita che ai trionfi in Inghilterra stava per farne seguire di europei. Allora uno dei pochi superstiti, il manager Matt Busby, scozzese come Ferguson, impose al club una rinascita fondata sulle risorse interne con l’eccezione di pochissimi oltreché forzati rinforzi provenienti dal mercato. E il ritorno al dominio in patria, seguito dall’agognata prima conquista della Coppa dei Campioni nel 1968, a quelle condizioni, suonò eroico tanto quanto è ammirevole quello che contraddistingue la storia più recente di questo club.
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