Argentina: tornano le trasferte
di Andrea Ciprandi da http://andreaciprandi.wordpress.com e da http://pilloleargentine.wordpress.com/
E’ da quasi un anno che in Argentina succede una cosa unica nel suo genere. Le partite del campionato, di ogni categoria, si giocano infatti senza tifosi ospiti. La misura era stata presa rispetto a quelle dalla B in giù ancora prima, ma da metà 2013 è stata estesa anche a quelle di Primera.
Le ragioni, in realtà, sono piuttosto dubbie. Ovunque nel mondo, infatti, il persistere di disordini dipende più che dalla lucida follia degli ultrà dall’incapacità – quando non è mancanza di volontà – dello Stato di arginarla. E lungi dal riconoscerlo, Federazione e Dipartimento per la Sicurezza di comune accordo avevano giust’appunto ravvisato la necessità delle restrizioni di cui sopra per mettere fine – sostenevano – ai ripetuti scontri fra tifoserie opposte. Basterebbe però seguire la cronaca per rendersi conto che a questo si poteva non arrivare anche solo, per iniziare, con una vera attività di prevenzione che prevedesse la revoca dello status di socio a chi ha delitto e che impedisse di lasciare i tornelli incustoditi dando di fatto libero accesso agli impianti ai delinquenti, ma passasse anche per la sospensione delle scarcerazioni facili per chi fosse stato arrestato. Se quindi si è arrivati a tanto è solo in ragione di precisi e mirati accordi presi nei corridoi di Viamonte, sede dell’AFA – questo al di là di qualsiasi dichiarazione in senso opposto.
Gli ultimi e più gravi episodi prima che venissero vietate le trasferte, per esempio, avevano visti coinvolti ultrà della stessa squadra, quelli del Boca nell’imminenza della trasferta sul campo del San Lorenzo e quelli del Quilmes nella propria curva, e tifosi del Lanús e forze dell’ordine nello stadio dell’Estudiantes. Nel primo caso la cosiddetta ‘barrabrava’ xenieize era stata lasciata prendersi a colpi di pistola, ripresa dalle telecamere della polizia senza alcun intervento (da cui si evince che si sapesse del regolamento di conti e non si sia fatto nulla per prevenirlo). Nel secondo, il capo di una fazione ‘cervecera’ era stato ridotto in fin di vita a calci s’ipotizza per la sua implicazione del narcotraffico. Nel terzo, un tifoso ‘granate’, ospite, era stato ucciso da un proiettile di gomma sparato da un gendarme quando si trovava, esagitato sì ma in fondo inerme, con le spalle appoggiate a una parete dello stadio.
Un vero motivo per cui i tifosi comuni (per colpa di quanto fatto dagli ultrà) non possano seguire i propri beniamini fuori casa non sembra quindi esserci. Almeno se il timore maggiore è che possano aggredire quelli dell’altra squadra o da essi rischino di essere assaliti. L’obiezione suona ancora più valida pensando che alle partite amichevoli dei Torneos del Verano (nell’estate australe, gennaio), comprese alcune ad alto rischio come River-Boca e Racing-Independiente, sono stati ammessi tutti i sostenitori, indistintamente, senza che oltretutto sia poi successo niente. Allo stesso modo, in occasione di partite di B giocate in trasferta da club di grande richiamo come River (nel 2011-12) e Independiente (questa stagione) è stata consentita la presenza di tifosi neutrali, in realtà tutti della squadra appunto ospite a cui è stato solo chiesto, più o meno implicitamente, di non esibire colori – anche se a ogni gol non si sono risparmiati in festeggiamenti.
Si potrebbe allora ipotizzare che dietro a questa misura diciamo preventiva ci siano in realtà interessi. Quelli delle società. Notoriamente con pochissimi fondi, per ogni partita giocata in casa senza pubblico i club al momento non devono pagare per il servizio di poliziotti extra e contemporaneamente stanno godendo del tempo auspicabilmente sufficiente per tornare a gestire in esclusiva il vero business del calcio moderno ovvero la rivendita di biglietti. Quest’ultima, oggi come oggi, è in gran parte in mano proprio agli ultrà come dimostrano il recente caso che vede coinvolti l’allenatore del River Plate, Ramón Díaz, suo figlio Emiliano e i Borrachos del Tablón, e quello che vide invece il pregiudicato Rafaél Di Zeo, numero uno della Doce del Boca prima dell’avvento di Mauro Martín e accusato di omicidio, girare indisturbato per i corridoi e gli spalti della Bombonera battendo cassa con la dirigenza e cercando un’affermazione de facto di fronte a tutti.
Fatto sta che in questi giorni – siamo curiosi di scoprire in base a quali intervenute ragioni – si è tornato a parlare ufficialmente della questione e se tutto andrà come ci si augura (o si vorrà far andare) dopo i Mondiali le cose torneranno come un tempo se non altro all’interno dei confini cittadini di Buenos Aires. Questo con l’introduzione dell’AFA Plus, una sorta di Tessera del Tifoso, anche se in Argentina come in Italia non sarebbe certo una registrazione/schedatura magari collegata a una carta di credito a risolvere un problema che solo nei paesi più civili e avanzati sembra essere stato debellato. Da trent’anni.
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