34C: Inter-Lazio 2-0
Dedico la netta vittoria sulla Lazio, che proietta l’Inter ad un passo dal 17° scudetto, il quarto consecutivo, a due categorie di tifosi: i cialtroni e i cacasotto. I primi, a differenza dei secondi, non sono interisti ma per una settimana e forse più hanno sposato la tesi tragicomica dell’Inter sconfitta in campionato in extremis. I primi, ciarlatani per definizione, li compatisco, anzi li assolvo perché ci sta che chi insegue faccia una sorta di propagandistico autoconvincimento. In fondo conosco chi sostiene che i marziani siano già sbarcati sulla terra e, visto quel che c’è in giro, potrebbe pure essere. I secondi, i cacasotto per intenderci, invece mi infastidiscono parecchio. Probabilmente ci sono sempre stati, ma hanno rialzato la testa sette anni fa, dal 5 maggio 2002 per intenderci, che qualcuno ribattezzò acutamente ‘5 Moggi’, visto quel che è poi venuto fuori. Da sette anni questi gatti neri spuntano alla prima difficoltà menando ad altri la sfiga che forse contraddistingue la loro esistenza, salvo poi essere i primi a correre in piazza col bandierone in caso di successo. Io in realtà credo alla locuzione latina, fortemente sostenuta dal filosofo Giordano Bruno, Faber est suae quisque fortunae, ossia l’uomo è artefice del proprio destino, come le squadre di calcio. Nell’editoriale precedente avevo scritto che l’Inter può vincere tutte le partite che restano di qui al 31 maggio, stabilendo perfino un distacco in doppia cifra sugli inseguitori. Per carità posso sbagliare perché, a differenza dei ciarlatani in servizio permanente, non ho mica la verità in tasca e continuo a vedere la Juventus alle spalle dell’Inter al traguardo finale, ma un po’ di ottimismo nella vita è d’obbligo. Tornando alla partita, Mourinho ha voluto ancora una volta tentare il 4-3-3 per un’ora, forte del paracadute aperto dal vantaggio sui rivali. Dopo la solita oretta di calcio noioso, lo Special One è tornato al collaudato 4-4-2, inserendo Vieira per riequilibrare numericamente il centrocampo laziale e Crespo ad aprire varchi davanti a Ibrahimovic. Al solito, l’Inter ha migliorato il gioco e vinto la partita. Il 2-0 finale è griffato da Zlatan Ibrahimovic che nel giro di un quarto d’ora ha spedito tutti a casa, compresi i contestatori dei suoi personalismi a volte eccessivi. Una minella a oltre 100 km/h per il vantaggio e un geniale tracciante per il raddoppio di Muntari. Della partita di Ibra, ammonito nel finale da Tagliavento e quindi squalificato a Verona, restano anche un paio di gestacci verso il primo anello verde che lo stava beccando da qualche minuto. Il dito davanti alla bocca in segno di silenzio non è un’esclusiva nerazzurra: lo inaugurò Vieri anni fa, poi imitato da Seedorf e Kakà ai contestatori rossoneri e Del Piero a quelli bianconeri. Quest’anno lo ha fatto un paio di volte anche Mourinho. Più volgare invece il movimento manuale sussultorio davanti ai genitali non propriamente da Camera dei Lords. In sala-stampa Mourinho a mia domanda precisa ha risposto di non aver visto: mica scemo! Chi paga il biglietto è libero di esprimere liberamente il suo dissenso, malgrado l’intempestività di certi mugugni e fischi, e alcuni protagonisti, che dovrebbero dare il buon esempio, a volte perdono la brocca. Il gesto resta fastidioso e ci sarà certamente qualche interrogazione parlamentare in proposito. Ibra avrebbe dovuto scusarsi, ma lui è abituato a scusarsi vincendo partite e scudetti e, pensandoci bene, la cosa non mi dispiace.
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