Frey: ‘Francia, sto arrivando!’
Pubblicato su Eurocalcio – settembre 2000
Ritratto del nuovo portiere dell’Inter, che corre per essere uno dei nuovi simboli del calcio vincente, quello francese. La sua storia, il suo rapporto con la Francia, la voglia di arrivare in nazionale, e un sentimento che non conosce: la paura!
Non ha fatto in tempo, per quanto sappia correre, non ha fatto in tempo! Non ha fatto in tempo a diventare campione del mondo due anni fa o, almeno, campione d’Europa pochi mesi fa, come altri francesi. Sebastian Frey, il portiere che brucia le tappe, ci avrebbe tenuto tanto, almeno per l’Europeo, magari come terzo portiere dopo i mostri sacri Barthez e Lama, ma invece gli è stato preferito Ulrich Ramè, buon interprete del ruolo ma niente più. Ma c’è tempo, anche se il tempo lui vorrebbe mangiarselo, perché è uno che va di fretta ma, siccome ‘nemo propheta in patria est’, quel che ancora non gli ha dato la sua Francia, Frey se lo sta pigliando in Italia. E lui con quella linguaccia che si ritrova non rinnega niente e nessuno, è francese e fa il francese per carità, però fa capire, in perfetto italiano, che al di là delle Alpi dovrebbero prestargli un po’ più d’attenzione: “Nel mio paese ci sono portieri che godono di ottima stampa, aspetto di avere lo stesso trattamento. Qui mi sento già uno dei vostri, parlo e scrivo in italiano senza problemi. Ancora un po’ che aspetto e rischio di dimenticarmelo, il francese!” Come dire, svegliatevi francesi che ci sono anch’io! E che il ragazzo se la cavi bene anche fuori dal campo, l’avevamo già capito da tempo. Ad esempio, dopo Verona-Inter dello scorso gennaio vinta dai nerazzurri per 2-1 con gol decisivo di Roby Baggio, ma prestazione collettiva non esaltante, lui ebbe a dire “Preferisco non parlare di come ha giocato l’Inter oggi: è la mia squadra dell’anno prossimo. Che faccio? Ne parlo male? Mica sono matto! Io all’Inter ci devo tornare!”. E allora via all’intervista, noi si tira, anche angolato, e vediamo se lui continua ad essere così sfrontato. ”I miei ricordi d’infanzia cominciano a Thonon, nell’Alta Savoia, un posto sul lago, tanto verde. Mio padre giocava portiere nella squadra locale in serie B, ma io sono cresciuto a Nizza, sul mare. Il mare è l’altra mia grande passione, la prima sono i cani: ne ho due, uno si chiama Ocean ed è un pastore tedesco, l’altro è un Labrador di nome Pumba, ma torniamo al mare. Mi piace molto ma non fino al punto di rinunciare a trasferirmi a Milano, all’Inter. Mi ha scoperto Sandro Mazzola, su segnalazione di Walter Zenga – un altro estroverso e un po’ matto, come lui – ndr. In Francia avevo esordito nella stagione 1997/98 in Rennes-Cannes. Io ero il 12 del Cannes: il giorno prima della partita giocavamo a bocce e si fa male il portiere titolare, così ho cominciato io, e penso bene, visto che poi ho giocato 23 partite. All’ esordio mi ha fatto gol Ousman Dabo, un altro che è passato di qui, all’Inter. Io però sono convinto di restarci! Intanto ci sono tornato subito!” Già, perché dopo essere stato prelevato dal Cannes, siamo nell’estate 1998, Frey si fa mezzo anno alle spalle di Pagliuca, ma già scalpita e, ironia della sorte, trova anche il modo di giocare 9 partite, 7 in campionato e 2 in Coppa Italia, prendendo il posto di Pagliuca infortunato, che non saltava una gara di campionato da cinque anni di fila. Frey l’anno dopo vuole giocare di più ma, via Pagliuca, arriva Peruzzi, e il francesino va a Verona: alla fine fanno le classifiche di rendimento e tra i portieri il migliore è lui, più bravo di Peruzzi, di Buffon, di Toldo. A quel punto Sebastian vuol tornare all’ Inter ma vuole tornarci da numero 1. La Lazio cerca un portiere e paga pure benissimo. L’Inter vive attimi d’indecisione: che si fa, teniamo Peruzzi o puntiamo su Frey? Finisce che l’Inter sceglie lui: vero Seba? “Si e mi ha fatto piacere, anche se non è proprio vero che ho puntato i piedi per giocare come si è scritto: certo un po’ ho insistito. Pensa che Lippi mi ha telefonato e mi ha detto che nella vita accade tutto in un attimo, che certe volte bisogna saper aspettare. Beh, dico io, allora aspetto, ma non ho capito bene cosa dovevo aspettare. Sta di fatto che dopo una settimana Peruzzi è andato alla Lazio ed io mi sono trovato qui. Lippi è un grande, e questo posto lo devo a lui!”.
Perché Frey ha fatto il portiere?
”Perché lo ha fatto mio padre, Remo Frey: ha giocato fino alla B francese e mi sono ispirato a lui. E’ stato il mio primo maestro, quello che mi ha insegnato i trucchi del mestiere, il mio idolo e il mio modello. Guardavo tanto calcio in videocassetta e da piccolo l’eroe di noi francesi era Platini, ma a me piacevano i portieri. Impazzivo per Zoff, così essenziale. Si, lo so che io sono diverso, caratterialmente, ma lui è stato tra i più grandi. Come collega ammiro Buffon, lui è fortissimo,e mi è spiaciuto che non abbia potuto fare gli Europei”.
Chi è il grande portiere?
“Il grande portiere è quello che non ha paura. Un portiere non deve mai avere paura e io mi sforzo di non aver paura di niente. Non mi fa paura uscire sui piedi degli attaccanti. Non ho avuto paura quando ho esordito nell’Under 15 con la maglia della nazionale contro la Spagna, e poi nel Cannes, quando ho esordito a 17 anni, e non l’ho avuta nell’Inter quando ho esordito a 18 anni prima in Inter-Casteldisangro, Coppa Italia 1-0 per noi, e poi in campionato Inter-Fiorentina 2-0 per noi. Ricordo che ‘Giaguaro’ Castellini mi disse: ‘Vai, fai quello che devi fare e poi esci. Ok?’. Lui era diretto, mica faceva grandi discorsi: magari era più spaventata la gente all’idea di un portiere diciottenne, ma io no, io paura mai. Un portiere non può nemmeno pensare di poter avere paura”.
Ci racconti questa storia del numero 17 sulla maglia?
“E’ il mio numero portafortuna, perché ho esordito a 17 anni e mi piace. Si, lo so che in Italia porta sfiga (testuale, ndr) ma a me ha portato fortuna. L’ anno scorso a Verona l’ho avuto sulla maglia per tutta la stagione ed è andata com’è andata. Quest’anno se lo tiene Domoraud. Io prendo l’1, ma va bene lo stesso. Sono il portiere titolare dell’ Inter, il numero a questi livelli c’entra poco”.
Passiamo al tuo rapporto con le nazionali francesi?
“Beh, tra una cosa e l’altra ho già giocato quasi 100 partite nelle nazionali minori, dall’Under 15 fino all’Olimpica. Poi per la squadra che avrebbe dovuto andare a Sydney hanno scelto Landreau, io ho fatto il secondo, ma non voglio far polemiche, tanto alle Olimpiadi noi francesi non ci siamo. Ci avete eliminato proprio voi italiani. E’ ovvio, adesso punto alla nazionale maggiore, anche se da noi preferiscono portieri più vecchi, come Barthez e Lama, cioè forse dovrei dire più maturi…chiedo scusa! Io aspetto il mio momento, e sono sicuro che giocare nell’Inter mi aiuterà moltissimo”.
Quello odierno è un calcio francese che vince dappertutto, Mondiali, Europeo: la doppietta in un biennio, prima di voi, era riuscita solo alla Germania dei primi anni ’70, quella di Beckembauer e Muller
“ Si, è il nostro momento. Per anni, dopo l’era di Platini e Tigana a metà degli anni ’80, quando abbiamo vinto un campionato Europeo, ci hanno chiamato i ‘campioni delle amichevoli’. Bravi e belli quando contava poco, poi quando c’era da alzare le coppe noi sparivamo, salvo rare occasioni, ed andavano avanti gli altri: c’era sempre qualche altra squadra che ci buttava fuori. Oggi no: oggi siamo noi quelli che vincono, quelli che ci credono sempre, come nella finale con l’Italia ad Euro 2000, con quel golden-gol di Trezeguet nell’extra-time. Oggi siamo campioni d’Europa e del mondo e sai perché?”
No dimmelo, tu.
“Perché abbiamo cominciato a viaggiare, ad andare all’estero: questo il vero segreto del calcio francese e della generazione di Blanc, Desailly, Thuram, Djorkaeff, Zidane, eccetera. Andare a giocare all’estero significa confrontarsi con altre realtà, imparare una nuova lingua, anche calcistica. Non hai idea di quanto si cresca tatticamente quando si gioca negli altri campionati europei. I nazionali francesi sono come spugne: hanno assorbito e trattenuto tutto il meglio dei vari campionati europei, la Premier League, la Liga spagnola e il campionato italiano. Quanti club esteri hanno vinto grazie ai giocatori francesi! Chi ci è andato poi è tornato affinato tatticamente, arricchito d’ esperienza e l’ha portata in nazionale. E’ cominciato tutto così ;”.
E adesso come vanno le cose per il calcio francese: Blanc ha detto che chiude con la nazionale, qualcuno oltre la trentina dovrà seguirlo. Come state a ricambi?
“Beh, in alcuni ruoli siamo fortissimi. Penso a Trezeguet, Henry, Vieira, gente che guarda caso ha a che fare con i campionati esteri, in altri ruoli c’è un po’ da aspettare: l’eliminazione dell’Olimpica sembra indicare che a livello giovanile non siamo forti come in nazionale A, ma stiamo a vedere. Dei calciatori francesi si parla tutti i giorni in tutti i ruoli e per tutti i mercati, quindi…Tocca a noi giovani dimostrare che siamo degni della generazione precedente, che ha vinto tutto. Di più non possiamo fare: sarebbe già bello provare a fare quello che hanno fatto loro. Con il ritiro di Blanc e di qualcun altro, perdiamo molto, perché i giovani non sono ancora all’altezza dei predecessori: in difesa per esempio credo che giocherà Djetou a destra, e Thuram si sposterà al centro con Lebouf. Ma non è proprio la stessa cosa: di Blanc ne nascono pochi. Insomma ci sono buoni giovani, ma in alcuni ruoli in futuro potremmo avere dei problemi”.
Nel ruolo di portiere, ci sei tu però.
“Guarda, io non dico niente, aspettiamo e poi vedremo. Se continuo così dovrebbero convocarmi per forza, ma sai, meglio lasciarli fare, io mi impegno tutti i giorni per raggiungere i miei obiettivi ed il primo è di vincere con l’Inter. E anche ai tifosi dell’Inter non faccio promesse perché se poi non riesci a mantenerle, apriti cielo! Sono qui per continuare a correre, a crescere e cominciare a vincere. E se mi tocca una papera, tranquilli, mi rialzo e ricomincio, perché un grande portiere dev’essere così, un grande portiere non deve e non può avere paura!”. Frey insomma è questo, giovane, allegro, sfrontato e un po’ matto, perché solo così si diventa grandi. Barthez, Lama, Ramè, Landreau eccetera sono avvisati.
Non ha fatto in tempo, per quanto sappia correre, non ha fatto in tempo! Non ha fatto in tempo a diventare campione del mondo due anni fa o, almeno, campione d’Europa pochi mesi fa, come altri francesi. Sebastian Frey, il portiere che brucia le tappe, ci avrebbe tenuto tanto, almeno per l’Europeo, magari come terzo portiere dopo i mostri sacri Barthez e Lama, ma invece gli è stato preferito Ulrich Ramè, buon interprete del ruolo ma niente più. Ma c’è tempo, anche se il tempo lui vorrebbe mangiarselo, perché è uno che va di fretta ma, siccome ‘nemo propheta in patria est’, quel che ancora non gli ha dato la sua Francia, Frey se lo sta pigliando in Italia. E lui con quella linguaccia che si ritrova non rinnega niente e nessuno, è francese e fa il francese per carità, però fa capire, in perfetto italiano, che al di là delle Alpi dovrebbero prestargli un po’ più d’attenzione: “Nel mio paese ci sono portieri che godono di ottima stampa, aspetto di avere lo stesso trattamento. Qui mi sento già uno dei vostri, parlo e scrivo in italiano senza problemi. Ancora un po’ che aspetto e rischio di dimenticarmelo, il francese!” Come dire, svegliatevi francesi che ci sono anch’io! E che il ragazzo se la cavi bene anche fuori dal campo, l’avevamo già capito da tempo. Ad esempio, dopo Verona-Inter dello scorso gennaio vinta dai nerazzurri per 2-1 con gol decisivo di Roby Baggio, ma prestazione collettiva non esaltante, lui ebbe a dire “Preferisco non parlare di come ha giocato l’Inter oggi: è la mia squadra dell’anno prossimo. Che faccio? Ne parlo male? Mica sono matto! Io all’Inter ci devo tornare!”. E allora via all’intervista, noi si tira, anche angolato, e vediamo se lui continua ad essere così sfrontato. ”I miei ricordi d’infanzia cominciano a Thonon, nell’Alta Savoia, un posto sul lago, tanto verde. Mio padre giocava portiere nella squadra locale in serie B, ma io sono cresciuto a Nizza, sul mare. Il mare è l’altra mia grande passione, la prima sono i cani: ne ho due, uno si chiama Ocean ed è un pastore tedesco, l’altro è un Labrador di nome Pumba, ma torniamo al mare. Mi piace molto ma non fino al punto di rinunciare a trasferirmi a Milano, all’Inter. Mi ha scoperto Sandro Mazzola, su segnalazione di Walter Zenga – un altro estroverso e un po’ matto, come lui – ndr. In Francia avevo esordito nella stagione 1997/98 in Rennes-Cannes. Io ero il 12 del Cannes: il giorno prima della partita giocavamo a bocce e si fa male il portiere titolare, così ho cominciato io, e penso bene, visto che poi ho giocato 23 partite. All’ esordio mi ha fatto gol Ousman Dabo, un altro che è passato di qui, all’Inter. Io però sono convinto di restarci! Intanto ci sono tornato subito!” Già, perché dopo essere stato prelevato dal Cannes, siamo nell’estate 1998, Frey si fa mezzo anno alle spalle di Pagliuca, ma già scalpita e, ironia della sorte, trova anche il modo di giocare 9 partite, 7 in campionato e 2 in Coppa Italia, prendendo il posto di Pagliuca infortunato, che non saltava una gara di campionato da cinque anni di fila. Frey l’anno dopo vuole giocare di più ma, via Pagliuca, arriva Peruzzi, e il francesino va a Verona: alla fine fanno le classifiche di rendimento e tra i portieri il migliore è lui, più bravo di Peruzzi, di Buffon, di Toldo. A quel punto Sebastian vuol tornare all’ Inter ma vuole tornarci da numero 1. La Lazio cerca un portiere e paga pure benissimo. L’Inter vive attimi d’indecisione: che si fa, teniamo Peruzzi o puntiamo su Frey? Finisce che l’Inter sceglie lui: vero Seba? “Si e mi ha fatto piacere, anche se non è proprio vero che ho puntato i piedi per giocare come si è scritto: certo un po’ ho insistito. Pensa che Lippi mi ha telefonato e mi ha detto che nella vita accade tutto in un attimo, che certe volte bisogna saper aspettare. Beh, dico io, allora aspetto, ma non ho capito bene cosa dovevo aspettare. Sta di fatto che dopo una settimana Peruzzi è andato alla Lazio ed io mi sono trovato qui. Lippi è un grande, e questo posto lo devo a lui!”.
Perché Frey ha fatto il portiere?
”Perché lo ha fatto mio padre, Remo Frey: ha giocato fino alla B francese e mi sono ispirato a lui. E’ stato il mio primo maestro, quello che mi ha insegnato i trucchi del mestiere, il mio idolo e il mio modello. Guardavo tanto calcio in videocassetta e da piccolo l’eroe di noi francesi era Platini, ma a me piacevano i portieri. Impazzivo per Zoff, così essenziale. Si, lo so che io sono diverso, caratterialmente, ma lui è stato tra i più grandi. Come collega ammiro Buffon, lui è fortissimo,e mi è spiaciuto che non abbia potuto fare gli Europei”.
Chi è il grande portiere?
“Il grande portiere è quello che non ha paura. Un portiere non deve mai avere paura e io mi sforzo di non aver paura di niente. Non mi fa paura uscire sui piedi degli attaccanti. Non ho avuto paura quando ho esordito nell’Under 15 con la maglia della nazionale contro la Spagna, e poi nel Cannes, quando ho esordito a 17 anni, e non l’ho avuta nell’Inter quando ho esordito a 18 anni prima in Inter-Casteldisangro, Coppa Italia 1-0 per noi, e poi in campionato Inter-Fiorentina 2-0 per noi. Ricordo che ‘Giaguaro’ Castellini mi disse: ‘Vai, fai quello che devi fare e poi esci. Ok?’. Lui era diretto, mica faceva grandi discorsi: magari era più spaventata la gente all’idea di un portiere diciottenne, ma io no, io paura mai. Un portiere non può nemmeno pensare di poter avere paura”.
Ci racconti questa storia del numero 17 sulla maglia?
“E’ il mio numero portafortuna, perché ho esordito a 17 anni e mi piace. Si, lo so che in Italia porta sfiga (testuale, ndr) ma a me ha portato fortuna. L’ anno scorso a Verona l’ho avuto sulla maglia per tutta la stagione ed è andata com’è andata. Quest’anno se lo tiene Domoraud. Io prendo l’1, ma va bene lo stesso. Sono il portiere titolare dell’ Inter, il numero a questi livelli c’entra poco”.
Passiamo al tuo rapporto con le nazionali francesi?
“Beh, tra una cosa e l’altra ho già giocato quasi 100 partite nelle nazionali minori, dall’Under 15 fino all’Olimpica. Poi per la squadra che avrebbe dovuto andare a Sydney hanno scelto Landreau, io ho fatto il secondo, ma non voglio far polemiche, tanto alle Olimpiadi noi francesi non ci siamo. Ci avete eliminato proprio voi italiani. E’ ovvio, adesso punto alla nazionale maggiore, anche se da noi preferiscono portieri più vecchi, come Barthez e Lama, cioè forse dovrei dire più maturi…chiedo scusa! Io aspetto il mio momento, e sono sicuro che giocare nell’Inter mi aiuterà moltissimo”.
Quello odierno è un calcio francese che vince dappertutto, Mondiali, Europeo: la doppietta in un biennio, prima di voi, era riuscita solo alla Germania dei primi anni ’70, quella di Beckembauer e Muller
“ Si, è il nostro momento. Per anni, dopo l’era di Platini e Tigana a metà degli anni ’80, quando abbiamo vinto un campionato Europeo, ci hanno chiamato i ‘campioni delle amichevoli’. Bravi e belli quando contava poco, poi quando c’era da alzare le coppe noi sparivamo, salvo rare occasioni, ed andavano avanti gli altri: c’era sempre qualche altra squadra che ci buttava fuori. Oggi no: oggi siamo noi quelli che vincono, quelli che ci credono sempre, come nella finale con l’Italia ad Euro 2000, con quel golden-gol di Trezeguet nell’extra-time. Oggi siamo campioni d’Europa e del mondo e sai perché?”
No dimmelo, tu.
“Perché abbiamo cominciato a viaggiare, ad andare all’estero: questo il vero segreto del calcio francese e della generazione di Blanc, Desailly, Thuram, Djorkaeff, Zidane, eccetera. Andare a giocare all’estero significa confrontarsi con altre realtà, imparare una nuova lingua, anche calcistica. Non hai idea di quanto si cresca tatticamente quando si gioca negli altri campionati europei. I nazionali francesi sono come spugne: hanno assorbito e trattenuto tutto il meglio dei vari campionati europei, la Premier League, la Liga spagnola e il campionato italiano. Quanti club esteri hanno vinto grazie ai giocatori francesi! Chi ci è andato poi è tornato affinato tatticamente, arricchito d’ esperienza e l’ha portata in nazionale. E’ cominciato tutto così ;”.
E adesso come vanno le cose per il calcio francese: Blanc ha detto che chiude con la nazionale, qualcuno oltre la trentina dovrà seguirlo. Come state a ricambi?
“Beh, in alcuni ruoli siamo fortissimi. Penso a Trezeguet, Henry, Vieira, gente che guarda caso ha a che fare con i campionati esteri, in altri ruoli c’è un po’ da aspettare: l’eliminazione dell’Olimpica sembra indicare che a livello giovanile non siamo forti come in nazionale A, ma stiamo a vedere. Dei calciatori francesi si parla tutti i giorni in tutti i ruoli e per tutti i mercati, quindi…Tocca a noi giovani dimostrare che siamo degni della generazione precedente, che ha vinto tutto. Di più non possiamo fare: sarebbe già bello provare a fare quello che hanno fatto loro. Con il ritiro di Blanc e di qualcun altro, perdiamo molto, perché i giovani non sono ancora all’altezza dei predecessori: in difesa per esempio credo che giocherà Djetou a destra, e Thuram si sposterà al centro con Lebouf. Ma non è proprio la stessa cosa: di Blanc ne nascono pochi. Insomma ci sono buoni giovani, ma in alcuni ruoli in futuro potremmo avere dei problemi”.
Nel ruolo di portiere, ci sei tu però.
“Guarda, io non dico niente, aspettiamo e poi vedremo. Se continuo così dovrebbero convocarmi per forza, ma sai, meglio lasciarli fare, io mi impegno tutti i giorni per raggiungere i miei obiettivi ed il primo è di vincere con l’Inter. E anche ai tifosi dell’Inter non faccio promesse perché se poi non riesci a mantenerle, apriti cielo! Sono qui per continuare a correre, a crescere e cominciare a vincere. E se mi tocca una papera, tranquilli, mi rialzo e ricomincio, perché un grande portiere dev’essere così, un grande portiere non deve e non può avere paura!”. Frey insomma è questo, giovane, allegro, sfrontato e un po’ matto, perché solo così si diventa grandi. Barthez, Lama, Ramè, Landreau eccetera sono avvisati.
Lascia una risposta
Devi essere connesso per pubblicare un commento.