Contro il pessimismo
di Gianni Riotta da Corriere della Sera, 10 marzo 2004
Tutto va male in Italia? No, è solo pessimismo
L’Italia non fa bambini, l’Italia perde terreno nella classifica dell’innovazione, l’Italia non vince un Nobel scientifico o un titolo di calcio da una generazione, i cervelli sono in fuga, i ceti medi perdono reddito. Perché? Le spiegazioni vanno un tanto al chilo, interessi di partito, lobbies, intellettuali corrucciati, periferie ignoranti. Colpa della Cina con la produzione di massa, colpa degli Usa con la produzione di qualità, colpa dell’inglese (che invece rischia negli USA il sorpasso dello spagnolo), colpa dell’euro, delle multinazionali, dei no global, di Berlusconi, Bertinotti, delle rappresaglie partigiane, del Duce, di De Gasperi & Togliatti, del Papa Re e Gioberti. No: la colpa è dell’epidemia di pessimismo. Ci siamo trasformati in una cultura che teme il futuro, si accuccia nel presente e rimpiange il passato, ognuno il suo, rosso del ’68, azzurro della DC, con il budino della nonna, la 500, Craxi, la campagna mai esistita di Pasolini e delle lucciole. Un mondo che la storia ci testimonia duro, ma che imbalsamiamo in nostalgico Mulino Bianco. Per capire perché la Spagna si accinge a superarci in economia, sapere e gioia di vivere, confrontate i film di Pedro Almodovar e di Nanni Moretti, talenti cinematografici latini. Il primo accetta la sfida di vivere sull’orlo della crisi di nervi del tempo, il secondo detesta ogni apparenza del mondo odierno. Per Pedro il mercato, le emigrazioni, i meticci, l’energia terribile e fertile del XXI secolo muovono al futuro con virile responsabilità e ironica accettazione della caducità. Per Nanni la frigida Italia del dopo Guerra fredda è museo calligrafico di affetti del Liceo, dove l’unica cosa di sinistra che si possa dire è tacere. Non c’è lavoro? Ce ne sarà di meno. Il Ponte sullo Stretto? Nutrirà la mafia. L’euro? Fa aumentare i prezzi. I politici? Rubano e ruberanno. Va male? Andrà peggio. Quando un politico evoca ottimismo, Berlusconi 1994, Prodi 1996, vince, ma subito la palude bipartisan, “non c’è nulla da fare”, si richiude torbida.
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