Il mito degli All Blacks
di Marco Del Checcolo
Cosa è il mito? Una favola, una narrazione. Gli All Blacks sono il mito dello sport, rafforzato da 130 anni di storie che hanno per protagonisti uomini singolari. Il rugby ‘tutto nero’ che esorcizza il lutto: quello di avversari che hanno fatto i conti sul campo, dopo aver assistito impietriti al rituale della Haka.
Racconti, partite, campioni: la nazionale griffata dal ramo di felce è andata ben oltre il suo sport e poco importa se gli immortali sono diventati umani e la danza di guerra che precede ogni incontro una coreografia che altri hanno impunemente citato. Se lo sport regala emozioni autentiche quando sono figlie di valori come lo spirito di corpo, la preparazione atletica, il talento tecnico, la lucidità tattica allora c’è un appuntamento da non perdere il prossimo 13 novembre a Roma: l’Italia sfida la Nuova Zelanda allo stadio Flaminio.
Mancherà solo Jonah Lomu. Un rene malfunzionante ha fermato il re Artù della palla ovale, ma ci sono alcuni suoi compagni più famosi – Tana Umaga e Carlos Spencer, ad esempio – che ricordano ancora quel pomeriggio a Twickenham, tempio del rugby inglese, quando Lomu decise di fare meta e partì, di corsa, palla sotto il braccio, con tre avversari aggrappati al cotonaccio della sua divisa ‘tutta nera’.
Il rugby con gli All Blacks è un rito al quale anche gli spettatori partecipano con eccitazione. Quindici energumeni che hanno un codice d’onore e regole sportive senza compromessi: compiono gesti vietati ai più e la trance agonistica trasforma il manto erboso in teatro di battaglia.
Gli All Blacks non hanno più re Artù, ma sono pur sempre i Cavalieri della Tavola Rotonda. Gli eletti. Il perché ha una motivazione percettibilmente fisica, ben spiegata in un curioso studio sviluppato anni fa dall’agenzia SAQ International. “La pressione esercitata dal pacchetto di mischia degli All Blacks – fu comunicato – è equivalente alla pressione esercitata da un camion di 5 tonnellate. Gli All Blacks possono tirare un peso equivalente a 570 ragazzi nel tiro alla fune. Tutta la linea di rimessa degli All Blacks può saltare ad un’altezza pari ad un bus a due piani”. Un divertimento, certo, ma rende l’idea.
E un altro dato fa riflettere. Se in Italia ci sono circa 36.000 giocatori tesserati, in Nuova Zelanda, che ha meno di quattro milioni di abitanti, ce ne sono ben 119.000. Le scuole di rugby proliferano, i settori giovanili sono frequentatissimi e gli impianti sportivi perfetti. Ci vorrà una grande Italia per fermare i simboli di uno sport: lo stadio avrà cantato l’inno di Mameli ma poi, silenzio, parte la Haka e sul campo ti senti un po’ più solo.
P.S.: infatti è finita 10-59, ovviamente per gli All Blacks!
Racconti, partite, campioni: la nazionale griffata dal ramo di felce è andata ben oltre il suo sport e poco importa se gli immortali sono diventati umani e la danza di guerra che precede ogni incontro una coreografia che altri hanno impunemente citato. Se lo sport regala emozioni autentiche quando sono figlie di valori come lo spirito di corpo, la preparazione atletica, il talento tecnico, la lucidità tattica allora c’è un appuntamento da non perdere il prossimo 13 novembre a Roma: l’Italia sfida la Nuova Zelanda allo stadio Flaminio.
Mancherà solo Jonah Lomu. Un rene malfunzionante ha fermato il re Artù della palla ovale, ma ci sono alcuni suoi compagni più famosi – Tana Umaga e Carlos Spencer, ad esempio – che ricordano ancora quel pomeriggio a Twickenham, tempio del rugby inglese, quando Lomu decise di fare meta e partì, di corsa, palla sotto il braccio, con tre avversari aggrappati al cotonaccio della sua divisa ‘tutta nera’.
Il rugby con gli All Blacks è un rito al quale anche gli spettatori partecipano con eccitazione. Quindici energumeni che hanno un codice d’onore e regole sportive senza compromessi: compiono gesti vietati ai più e la trance agonistica trasforma il manto erboso in teatro di battaglia.
Gli All Blacks non hanno più re Artù, ma sono pur sempre i Cavalieri della Tavola Rotonda. Gli eletti. Il perché ha una motivazione percettibilmente fisica, ben spiegata in un curioso studio sviluppato anni fa dall’agenzia SAQ International. “La pressione esercitata dal pacchetto di mischia degli All Blacks – fu comunicato – è equivalente alla pressione esercitata da un camion di 5 tonnellate. Gli All Blacks possono tirare un peso equivalente a 570 ragazzi nel tiro alla fune. Tutta la linea di rimessa degli All Blacks può saltare ad un’altezza pari ad un bus a due piani”. Un divertimento, certo, ma rende l’idea.
E un altro dato fa riflettere. Se in Italia ci sono circa 36.000 giocatori tesserati, in Nuova Zelanda, che ha meno di quattro milioni di abitanti, ce ne sono ben 119.000. Le scuole di rugby proliferano, i settori giovanili sono frequentatissimi e gli impianti sportivi perfetti. Ci vorrà una grande Italia per fermare i simboli di uno sport: lo stadio avrà cantato l’inno di Mameli ma poi, silenzio, parte la Haka e sul campo ti senti un po’ più solo.
P.S.: infatti è finita 10-59, ovviamente per gli All Blacks!
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