Ibra e gli interisti
Inter-Barcellona, tra meno di una settimana a San Siro, è solo la prima partita del girone di qualificazione di Champions League, ma l’atmosfera pare quella di un big-match a eliminazione diretta. Certamente è il ritorno di Ibra a San Siro, così vicino nel tempo, a permeare la sfida di un fascino che altrimenti non avrebbe. C’è già il record d’incasso, ma non di spettatori, perché gli 83.381 della finale Uefa 96-97 con lo Schalke 04 non potranno più essere superati per le riduzioni di capienza stabilite da vincoli Uefa e il pubblico nerazzurro è diviso, come sempre, sull’accoglienza da riservare a Ibrahimovic. Lo svedese da Barcellona ogni tanto strizza l’occhio al suo passato nerazzurro, tra coccole e vanterie personali, dal profetico “il derby lo vinciamo noi interisti” a “dopo 17 anni si è vinto grazie a me”. Materazzi ha opportunamente ricordato che i meriti sono sempre di squadra e il ricordo del brutto gesto in Inter-Lazio dell’anno scorso strapperà più di un fischio a qualcuno. Però, se proprio si è vissuta la partenza di Ibra come un tradimento, sarebbe meglio ignorarlo. A mio giudizio Ibra e l’Inter hanno vinto insieme e lui, a differenza di tanti altri, si è sempre proposto con come professionista del moderno calcio business e non come bandiera. I migliori sentimenti nel calcio d’oggi li meritano i colori sociali, non certo ai loro temporanei interpreti. Ibra dall’Inter ha preso tanti soldi ma anche dato prestazioni straordinarie e tre scudetti di fila insieme a due Supercoppe Italiane. E che il nome dell’Inter sia tornato in Albo d’Oro solo dal suo arrivo è una realtà. C’è una sostanziale differenza tra Ibra e gli innumerevoli campioni che il pubblico interista ha idolatrato per anni: con questi non si è vinto nulla, con Ibrahimovic si è vinto e non solo in campo. I milioni incassati dalla sua cessione hanno permesso all’Inter un attivo di bilancio inedito e un mercato straordinario, con cinque acquisti straordinari, non a caso tutti titolari fissi. Insomma, sentitevi pure liberi di accoglierlo come credete, ma io Ibra lo ricorderò sempre insieme ai successi di cui è stato grande protagonista.
E’ vero: Ibra ha avuto un ruolo fondamentale nelle ultime e recenti vittorie nerazzurre. Ma rivendicandone la paternità esclusiva rischia di peccare, oltre che di presunzione, anche di mancanza di rispetto verso compagni, staff tecnico e società. Un solo giocatore, per quanto straordinario, non fa squadra e non vince se attorno a lui non c’è qualcosa di buono, e proprio i 17 anni senza trionfi dell’Inter, che pure di campioni ne ha avuti tanti, lo dimostrano. Inoltre, stando al ragionamento del nuovo numero 9 blaugrana, bisognerebbe attribuirgli anche le responsabilità per le figuracce europee ricordando le sue prestazioni incolori e i gol sbagliati contro Liverpool e Man Utd. Se Ibra si ritiene artefice degli scudetti deve ritenersi altrettanto artefice dei suoi stessi mal di pancia. Ma di nuovo non regge: un solo giocatore non fa squadra. E’ stata l’Inter a vincere o perdere, non Zlatan Ibrahimovic. L’accoglienza a San Siro? Ha ragione a Materazzi: indifferenza. Fischiarlo sarebbe ingiusto, proprio perchè gli vanno riconosciute le cose importanti che ha fatto nei tre anni a Milano; e applaudirlo sarà difficile per i tifosi che non lo hanno mai visto realmente attaccato alla maglia e ultimamente lo vedevano anzi insofferente e desideroso di cambiare aria. Del resto, uno come lui non si farebbe né intimorire dai fischi né commuovere dagli applausi, come sarebbe, invece, per un certo Kakà. E poi è andata così: lui contento in Spagna, noi contenti coi nuovi acquisti. E che vinca il migliore!