Calcio, genio e sregolatezza
di Gian Maria Zanier
Pubblicato su Hurrà Grigi, 15 gennaio 2012
Un interessante viaggio tra i talenti più raffinati ed ingestibili del calcio, scritto da Gian Maria Zanier, figlio del compianto Adriano Zanier (1948-2003) che tra gli anni ’60 e gli anni ’80 fu portiere anche dell’Udinese e dell’Alessandria e grande amico del ‘ribelle’ Ezio Vendrame. Buona lettura
GLR
Avendo avuto modo di parlare recentemente con un grande giocatore del calibro di Arrigo Dolso, sono arrivato alla personale conclusione: nel calcio attuale non manca soltanto l’attenzione per la tecnica di base, ma anche quel pizzico di follia “geniale” e non fine a sé stessa. Gli esempi, in questo caso, sono davvero innumerevoli: basti pensare all’importanza che hanno avuto, a partire dalla metà degli anni ’60, due “icone beat” del calcio come George Best in Inghilterra e Luigi Meroni in Italia. Del primo si è detto tutto o quasi, fino alla recente scomparsa, avvenuta nel 2005, in seguito a gravi problemi respiratori, dovuti soprattutto all’abuso di alcool: si pensi, se non altro, all’appelativo di “quinto Beatles” che da subito contraddistinse Best, o ad un suo famoso aforisma che pronunciò in anni più recenti: “Ho speso un sacco di soldi in alcool, donne e macchine veloci… il resto l’ho sperperato”. Il mito di Meroni è figlio di quel grandissimo élan vital che accompagnò l’Italia degli anni ’60, ancora divisa tra l’avvento del boom e i primi sintomi di congiuntura, che poi sfociarono nel ribellismo tout-court del ’68: un anno che però Meroni (come del resto successe anche a Luigi Tenco) non riuscì a vivere in prima persona, visto che il drammatico incidente stradale che mise fine ai suoi giorni è datato esattamente 15 ottobre 1967. Passando al decennio successivo, il primo nome da ricordare è probabilmente quello di Ezio Vendrame: di lui si è parlato molto in questi anni, soprattutto per la sua attività di scrittore un po’ pasoliniano e un po’ bohémien (si pensi almeno a due titoli come “Vietato alla gente perbene”, e, soprattutto, “Se mi mandi in tribuna, godo” – dedicato all’allora allenatore del Napoli Luis Vinicio, che era appunto solito utilizzare il talento friulano con il contagocce -). Quello che posso fare, a livello personale, è ringraziarlo pubblicamente ogni volta che c’è l’occasione per la stupenda pagina scritta nel 2003 e intitolata “Per te che sei diventato un angelo”, dedicata alla prematura scomparsa di mio padre Adriano Zanier (i due erano stati grandi amici ai tempi della Spal nella metà degli anni ’60, insieme ad altri giocatori friulani come Edy Reja e Fabio Capello). In uno dei capitoli del già citato “Vietato alla gente perbene”, Vendrame inizia un racconto nel seguente modo: “Mi trovavo al Teatro Nuovo di Verona con il più grande calciatore di tutti i tempi, Gianfranco Zigoni…”. Ebbene, l’attaccante veneto in questione si rese protagonista di uno dei gesti più plateali della storia del calcio: quando il Mister Valcareggi lo escluse da una formazione iniziale del Verona, “Zigo”, per protestare, decise di sedersi in panchina vestito con una pelliccia e un cappello da cowboy. Nello stesso periodo, ebbe anche modo di dichiarare: “Metto fuori classifica io, Pelè e Maradona, perché calcisticamente siamo tre extraterrestri”. Ma in Italia, uno dei simboli di quei “caldi” anni ’70 è stata sicuramente anche la Lazio dello scudetto ’73/’74: non è infatti un mistero che lo spogliatoio di quella squadra così vincente fosse particolarmente turbolento, diviso com’era tra due fazioni politicamente contrapposte (da una parte c’era il gruppo capitanato da Giuseppe Wilson, dall’altra quello guidato da “Giorgione” Chinaglia). Proprio quest’ultimo, nel 1974, si rese protagonista di due gesti estremamente “significativi”: se durante il campionato italiano, in una trasferta a Milano della Lazio, si prese il lusso di prendere letteralmente a calci nel sedere un altro grande talento del calcio italiano, l’allora giovanissimo Vincenzo D’amico (reo, secondo Chinaglia di non impegnarsi a sufficienza), durante il Mondiale in Germania “Long John” mandò platealmente a quel paese l’allora tecnico delle nazionale italiana Valcareggi, nel momento in cui quest’ultimo decise di sostituirlo. A proposito del Mondiale del ’74, come non ricordare una delle nazionali più spettacolari, ma non vincenti della storia del calcio ? Sto parlando, ovviamente, dell’Olanda di Crujff e Neeskens, che, con il suo “calcio totale”, diventò comunque una sorta di paradigma per molti allenatori (basti pensare al Torino scudettato di Gigi Radice o, nel decennio successivo, al primo Milan di Arrigo Sacchi). Di quella nazionale, che arrivò seconda sia ai mondiali del ’74 in Germania, sia in quelli del ’78 in Argentina, mi hanno sempre colpito due cose in particolare: il look anticonformista, così simile alle star del pop-rock dell’epoca (si pensi ai proverbiali capelli lunghi, con tanto di collanine, portati da Ruud Krol o dallo stesso Johan Crujff, o alle basette di dimensioni impressionanti esibite da Johan Neeskens) e il pressing praticato dai giocatori in ogni zona del campo, con una intercambiabilità dei vari ruoli davvero innovativa. Un’altra nazionale “folle”, dato il modo con cui gettò al vento una vittoria quasi sicura di un mondiale, è stata sicuramente il Brasile del 1982: allora avevo soltanto 8 anni e mezzo, ma ricordo perfettamente che, durante le partitelle con i miei coetanei, gli idoli di tutti i bambini erano appunto i vari Zico, Falçao, Leo Junior, Toninho Cerezo, Eder, e, ovviamente, il capitano Socrates (scomparso lo scorso 4 dicembre per un’infezione intestinale, dovuta all’uso eccessivo di fumo e alcool). Tutto questo, però, fino a quel torrido 5 luglio 1982, giorno di Italia-Brasile 3-2: alla fine, la troppa spregiudicatezza dell’assetto tattico carioca, un paio di elementi non all’altezza (il portiere Valdir Perez e l’attaccante Serginho) e una prova impeccabile offerta dalla nazionale di Bearzot e di Paolo Rossi fecerò sì che dal girone “di ferro” composto da Brasile, Argentina e Italia, alla fine ne uscisse viva proprio la squadra azzurra. La cosa fece particolarmente scalpore, anche perchè in quell’Italia non erano stati convocati due campioni del calibro di Roberto Pruzzo (in quegli anni regolarmente in testa nelle classifica dei capocannonieri, insieme ad un altro grandissimo attaccante, Bruno Giordano) ed Evaristo Beccalossi (che allora era in uno stato di forma davvero eccezionale). Avendo avuto il piacere di conoscere personalmente il “Beck” qualche anno fa, nel corso della mia esperienza presso gli studi di Telelombardia, posso tranquillamente affermare che quella mancata convocazione influì pesantemente sul prosieguo della carriera dell’estroso n°10 bresciano: dopo un altro paio di stagioni giocate con l’Inter (e il famoso episodio dei due rigori sbagliati durante una partita di Coppa Uefa, poi trasformato addirittura in un monologo dall’attore Paolo Rossi), Beccalossi iniziò un periodo difficile, culminato negli anni disputati a Genova con la Sampdoria, prima di terminare la carriera nella natìa Brescia. Restando al periodo interista di quegli anni, c’è un altro aneddoto che va assolutamente ricordato: sto parlando dell’episodio che vide protagonisti Altobelli e Hansi Muller, con “Spillo” che, durante una gara di campionato, arrivò addirittura a rifilare un vero e proprio schiaffo al centrocampista tedesco per un mancato passaggio: il lunedì successivo, la Gazzetta dello Sport sintetizzò in modo perfetto l’accaduto con il seguente titolo: “Beccalossi crea, Altobelli risolve, Muller distrugge”. A proposito di rapporto difficile tra un grande giocatore e la nazionale italiana, perché non ci fu mai grande feeling tra un campione indiscusso come Roberto Mancini e la maglia azzurra ? Probabilmente perchè l’attuale allenatore del Manchester City non aveva un carattere facilmente gestibile in un contesto così particolare come quello dello spogliatoio della nazionale. Non a caso, nella Sampdoria c’era il Presidente Paolo Mantovani, che, avendo una particolare predilezione per il calciatore di Jesi, riuscì a compiere il miracolo di vincere uno scudetto grazie anche al contributo dei vari Vialli, Cerezo, Vierchowood, Pagliuca e Dossena: uno dei più bei gol di quella stagione fu proprio quello siglato da Mancini a Napoli, con un tiro al volo stupendo di destro, scagliato da quasi 30 metri di distanza dalla porta difesa da Giuliani. L’esordio di Mancini in Serie A avvenne a Bologna, nel 1981: di quella rosa faceva parte anche un giovane Alviero Chiorri, altro giocatore dotato di grandissimo talento che fece una carriera soltanto “normale”, pur disputando successivamente delle ottime stagioni con la maglia della Cremonese. La cosa che però mi ha sempre colpito a tal proposito è che, a detta di molti giornalisti e amici bolognesi, pare che in quell’anno nelle file rossoblu ci fosse un altro giovane attaccante ancora superiore sia a Mancini sia a Chiorri: il suo nome era Marco Macina, che però poi non mantenne le aspettative su di lui riposte. Amico e compagno di Mancini in anni più recenti è stato anche Sinisa Mihajlovic: reinventandosi difensore centrale a Genova con la Samp dopo un periodo difficile a Roma con la maglia giallorossa, il campione serbo alternò punizioni micidiali e lanci di 50 metri sontuosi, a polemiche che lo videro protagonista sia dentro il campo (lo sputo a Adrian Mutu – un altro giocatore di per sé particolarmente “esuberante” – durante la gara Lazio-Chelsea di Champions League del 2003), sia soprattutto fuori (ad esempio la polemica a distanza con il croato Zvonimir Boban, quando quest’ultimo era già opinionista di Sky). Ma la fine degli anni ’80 e tutti gli anni ’90 e ’00 sono stati contraddistinti sia dall’avvento in Italia di molti stranieri dal carattere “particolare” (su tutti il colombiano Faustino Asprilla e i brasiliani Renato Portaluppi ed Edmundo, questi ultimi particolarmente amanti della bella vita e soggetti alla “saudade”, soprattutto nel periodo di Carnevale), sia da diatribe politiche in qualche modo figlie del periodo anni ’70. Emblematico, in questo senso, l’esempio di Paolo Di Canio: se durante il periodo trascorso in Inghilterra l’attaccante romano alternò gesti encomiabili ad altri più discutibili (da un lato la decisione di interrompere un’azione offensiva per soccorrere il portiere avversario infortunato, nell’incontro Everton-West-Ham del 2000 – con tanto di successiva vincita del premio “Fair Play dell’anno”-, dall’altro la plateale spinta all’arbitro Paul Allcock, che gli costò ben 11 giornate di squalifica), negli anni giocati in Italia la bandiera laziale non si fece certo molti problemi a mostrare in vari occasioni il saluto romano di chiara matrice fascista. A ideale contraltare delle posizioni politiche di Di Canio non si può non citare il livornese Cristiano Lucarelli, che, in maniera diametralmente opposta all’ex laziale, ha sempre manifestato piena adesione ad un’ideologia di sinistra, culminata con l’esposizione di una maglietta del Che Guevara durante una partita dell’Under 21 e la scrittura di un libro dal titolo significativo “Tenetevi il miliardo”. Concludendo questa rapida carrellata, mi piace ricordare anche due allenatori molto diversi tra loro, ma entrambi particolarmente fuori dagli schemi. Il primo è Giovanni Galeone, che ricordo sempre con piacere perchè lo conosco da quando sono nato (l’ex allenatore di Pescara e Udinese è stato compagno di mio padre negli anni ’70, proprio nelle file della squadra friulana). A livello personale, il ricordo più bello è quello legato al fatto che da bambino mi tenesse spesso in braccio per farmi guidare la sua Lancia sportiva – un paio di volte abbiamo davvero rischiato di finire fuoristrada ! -, mentre per ciò che riguarda gli aneddoti raccontati da altri, mi sembra degno di nota il fatto che, nei primi anni ’80, da allenatore della Spal fosse solito fare la consueta conferenza stampa soltanto dopo aver preso un’ora abbondante di sole (nel caso quel giorno fosse una bella giornata) o, comunque, dopo aver fatto fare una corsa sul prato del campo sportivo al proprio cane. Il secondo allenatore che vorrei citare è Carletto Mazzone: come non ricordare almeno la folle corsa del simpaticissimo mister romano verso la curva dei tifosi dell’Atalanta, colpevoli di averlo duramente offeso durante la partita Brescia-Atalanta della stagione 2001/2002 poi terminata 3-3 ? Nella panchina dell’Atalanta, quel giorno, era seduto anche Cristiano Doni, che era stato appena sostituito… Non sta certo a me esprimere un giudizio su quanto emerso dall’ultimo scandalo del “calcio-scommesse” (anche perchè, se mi soffermassi su quanto successo all’Alessandria quest’estate, non basterebbe un articolo intero): personalmente, però, da appassionato di calcio, mi piace ricordare sempre Doni per le sue doti tecniche, i suoi dribbling e il suo elegante modo di calciare sempre a testa alta: per tutto il resto, passo idealmente la palla a chi di dovere.
Fa sempre piacere leggere dei tempi passati soprattutto quando sono trattati con garbo e competenza. Complimenti all’autore e forza inter!
Ciao Gianluca! Sono un tifoso grigio e nerazzurro… Zanier e Dolso sono stati i miei idoli da bambino, quando mio padre mi portava con sè allo stadio Moccagatta. Andavo in curva e il mitico “Adriano” Zanier mi sembrava alto 3 metri, grandissimo portiere, presa plastica e grandi colpi di reni: so per certo che il suo idolo era Lido Vieri… Dolso è stato uno dei più eleganti giocatori, con una tecnica pazzesca e un eleganza indescrivibile… mio padre mi diceva che gli ricordava Mariolino Corso e così sono diventato interista ! A proposito… c’ero quel giorno dello schiaffo di Spillo a Muller: che tempi, mi ricordo la contestazione sotto la Nord, dove c’era lo striscione “Milano Nerazzurra”… A ripensare chi c’era in campo allora (Zenga, Ferri, Bergomi, Bagni, Collovati, Spillo, Becca, ecc.) mi viene davvero tanta nostalgia e un po’ di senso di colpa per averli contestati… Comunque FORZA GRIGI e FORZA INTER !!!!
Massimo Inter Club Alessandria
…….complimenti…..una lettura veramente piacevole ed interessante……! Piena di aneddoti, riferimenti e citazioni! Per chi come chi scrive ha sempre vestito….in maniera del tutto impropria ….la mitica maglia N. 10…..e ha sempre seguito con grande passione vittorie e rovinose cadute dei grandi ribelli del calcio…..questo articolo è una grande emozione ed un grande piacere!!! Da genoano convinto, ho sempre amato e continuo a seguire il grande Mancio che qui viene giustamente ricordato!!!!
Ne butto un paio per divertimento……nel solco di chi poteva fare di +…..e ha disilluso in parta le attese……..il Loca ( Thomas Locatelli)……Dell’Anno (all’inter un disastro…) ed il grande Massimo Orlando…talento puro….frenato dagli infortuni a catena!!!
Giordano
Una meravigliosa parata di campioni straordinari. Il passaggio su Cruyff e la nazionale olandese mi ha fatto ricordare il film “il profeta del gol” di Sandro Ciotti dedicato al grandissimo giocatore orange, talento assoluto del calcio mondiale.Grazie Gian, questo articolo conferma la tua grandissima conoscenza e passione per le “res” calcistiche.
…Grandissimo Chiorri ! Per noi adolescenti grigiorosse era il top, insieme a Finardi… Elegante sul prato e affascinante come ragazzo.
Personalmente, ho metà cuore grigiorosso e metà nerazzurro: ma, per ciò che riguarda l’Inter, non ci sono dubbi… il più bello è stato sicuramente Galante (anche se da ragazzina mi piaceva molto anche Collovati, nonostante arrivasse dai cugini).
Ciao. Stefania
Ciao Gian Maria, oggi guardando una foto dell’Udinese del 1973, (spareggio con il Parma per accedere alla B) mi è venuto in mente Tuo Papà Adriano, e così ho sparato il tuo cognome nel computer, e con sorpresa mi è uscito il tuo nome, e la conferma che eri tu, ho visto la foto che ho trovato con tuo Papà Adriano al mare. Beh cosa posso dirti, ho passato un paio di ore a guardare foto di quel periodo, che per me è stato splendido, con compagni come tuo Papà, Galeone, Giacomini, Politti,ecc. Ciao.