Anywhere Anytime
Issa è un giovane senegalese irregolare che vive a Torino. Lavora in un mercato cittadino ma perde l’impiego perché chi lo fa lavorare (in nero) teme multe della polizia locale. Disperato, chiede aiuto all’amico Mario, senegalese anche lui, che fa il cuoco in un ristorante e che gli presta i soldi per comprare una bicicletta usata così che Issa possa fare il rider. Mario gli dà anche il suo smartphone e il suo account per la ditta Anywhere Anytime. Issa è felice perché ha un nuovo lavoro, ma il secondo giorno gli viene rubata la bici e il ragazzo cade in una profonda disperazione. Infatti non trova nessuno disposto ad aiutarlo a ricomprare una bicicletta per continuare il suo lavoro di rider. Milad Tangshir, iraniano di nascita ma torinese di adozione, proviene dal documentario. I suoi cortometraggi (The celebration, Displaced, 13 seconds) hanno ricevuto premi in tutto il mondo. Questo è il suo primo film di finzione, un’opera dalla trama apparentemente esile eppure forte, che si dipana tra le vie grandi e piccole di una città qualunque. Città indifferente ai problemi di un ragazzo che chiede solo di poter vivere una vita dignitosa e che invece si ritrova a dover sottostare a soprusi e ingiustizie. È notevole come l’occhio del regista mostri la storia di Issa senza giudicarla, una vicenda che potrebbe essere la summa di tante altre che capitano anywhere anytime, ovunque e sempre. Sono passati 75 anni da “Ladri di biciclette” di De Sica (cui il film è stato accostato), e la condizione e la disperazione umana sembrano le stesse, con la differenza del cambio del “personaggio”: se li era un disoccupato italiano nel secondo dopoguerra ora sono altri uomini, altri giovani che arrivano da paesi spesso colpiti dalla guerra. È molto interessante il percorso che compie Issa, profondamente buono che però nell’eccezione dello sconforto cede all’impulso di rubare una bicicletta, cade anche lui in un disperato atto criminale, e la bicicletta rubata diventa così simbolo di desiderio raggiunto con la forza e non con il lavoro. Tangshir scrive il film con Giame Alonge e con quel Daniele Gaglianone che ben conosce la “socialità” del territorio in cui si svolge la storia. Tra tante corse e affanni è lodevole il tentativo, ben riuscito, di inserire una pausa, un momento per recuperare la propria umanità, un incontro per dialogare tra due persone sconosciute, bellissimo e toccante. Il regista prende attori non professionisti e li guida verso quello che gli interessa (far) vedere: il senso di paura e ansia di chi vive ai margini, spesso invisibile. Dopo questo film la vostra percezione dei rider non sarà più la stessa. Presentato a Venezia (Settimana internazionale della critica) e al Festival Internazionale del Film di Toronto. Da vedere. Al cinema.
Recensione del Conte Adriano Cavicchia Scalamonti, 20.9.2024