Il caso Goldman
Francia, 1976. Pierre Goldman è un attivista di estrema sinistra condannato in primo grado all’ergastolo per una serie di rapine compiute a Parigi pochi anni prima, una delle quali ha portato all’omicidio di due farmaciste. Goldman confessa le rapine ma proclama la propria innocenza rispetto ai due omicidi. Il film segue il secondo processo contro l’estremista. Se temete che un film di quasi due ore che si svolge interamente (a parte la scena iniziale del dialogo tra i due avvocati difensori di Goldman) in un’aula processuale sia noioso o abbia cali di ritmo vi sbagliate di grosso. Cédric Kahn (“Roberto Succo”, “Luci nella notte”) dirige un notevole procedural drama, molto parlato ma anche adrenalinico. Certamente merito della scrittura realizzata, oltre che dallo stesso regista anche da Nathalie Hertzberg: i due hanno ricostruito il processo basandosi sugli articoli dell’epoca, sui testi dei due processi, sul libro “Memorie oscure di un ebreo polacco nato in Francia” dello stesso Goldman (in cui spiegava la “sua” verità) e su alcuni elementi scoperti in fase processuale. Se ne ricava un ritratto anche sociale e politico dell’epoca (quella delle rivolte del maggio ’68 e degli scontri tra militanti e polizia), un’opera che cerca di mettere lo spettatore nei panni di un giurato che deve capire come si sono succeduti gli eventi e se le deposizioni dei testimoni sono da ritenersi attendibili. Inoltre è un film in cui la dialettica e l’uso (improprio e non) delle parole assume un’importanza rilevante. Il protagonista Pierre Goldman è interpretato da un incredibile Arieh Worthalter, attore franco-belga già visto in “Stringimi forte” e nel recente “Niente da perdere). Il ruolo dell’estremista gli è valso nel 2024 i premi César, Magritte e Lumiére come miglior attore. Nel ruolo dell’avvocato difensore troviamo il bravo Arthur Harari (cosceneggiatore di “Anatomia di una caduta” insieme alla compagna, la regista Justine Triet). Un film imperdibile, da vedere possibilmente in lingua originale per non perdere neanche una sfumatura della recitazione. Al cinema.
Recensione del Conte Adriano Cavicchia Scalamonti, 31.5.2024