L’orto americano
- Gianluca Rossi
- 15 mar
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 25 mar

di Pupi Avati
Nel 1946 a Bologna, un giovane scrittore (Filippo Scotti) viene “fulminato” da una giovane infermiera dell’esercito americano di stanza nel capoluogo emiliano. Settimane dopo, grazie a uno scambio di case, si reca in un paesino dello Iowa per vivere 6 mesi negli Stati Uniti. Lì, per una casualità viene a scoprire che l’anziana vicina di casa è la madre dell’infermiera che lui ha visto a Bologna: la ragazza è misteriosamente scomparsa a Argenta, in Emilia. Il ragazzo decide di tornare in Italia a cercarla. Con tutta la bontà e la simpatia che si può provare per Pupi Avati non si può dire che il nuovo film dell’86enne regista bolognese sia un capolavoro. Tutt’altro purtroppo. E’ girato in un bianco e nero secco nella prima parte, (dagli echi hitchcockiani) e più morbido e caldo nella seconda parte (“alla Rossellini” per dirla con le parole del regista alla presentazione del film). La pellicola parte bene ma poi si avvolge un po’ su se stessa e sulle interpretazioni degli attori, non troppo convincenti, a volte perfino superficiali. Peccato perché l’opera ha in sé molti punti comuni del cinema di Avati: il colpo di fulmine (purtroppo qui sottolineato da uno slow-motion una musica romantica), la ricerca dell’amata, l’eroe giovane e spesso ingenuo e curioso. Girato e fotografato bene (da Cesare Bastelli, habitué del regista) è tecnicamente valido. Quello che non va, forse demerito anche della scrittura (tratta dal libro omonimo del regista che firma la sceneggiatura con il figlio Tommaso) che cerca di mandare avanti la storia invece che aprirla allo sguardo (e al cuore!) dello spettatore, è che non si prova molto interesse nella vicenda. Come se l’autore conoscesse tanto bene la storia, per lui così evidente, da “dimenticarsi” di spiegarla e mostrarla a chi guarda. Non svelata non si da il giusto valore alla vicenda. Convincono i ruoli secondari di Chiara Caselli e Cesare Cremonini. Un’operazione non molto riuscita che si può anche evitare. Al cinema.
Recensione del Conte Adriano Cavicchia Scalamonti, 23.3.2025