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Immagine del redattoreGianluca Rossi

L'incubo dei lacrima movies

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Siete state bambini negli anni '70 e vi piace il cinema? Allora siete nel posto giusto! In quel tempo non c’erano solo grandi registi come Sergio Leone o Luchino Visconti, ma anche  un sottobosco di pellicole, cosiddette B-Movies, proiettate nelle tante sale di seconda visione. Una di queste, a Milano città, era il mitico Ducale di piazza Napoli, a due passi da casa mia. E mentre nei cinema oratoriali Bud Spencer e Terence Hill ispiravano tanti spaghetti-western girati tra Sardegna e Andalusia, i cinema di zona campavano sulle commedie boccaccesche  con Edwige Fenech o sui poliziotteschi come Milano odia: la polizia non può sparare e le innumerevoli imitazioni del polar francesce, creato fondendo policier e noir. Da noi c’era però il filone dei film strappalacrime, sull'onda del successo di Incompreso - Vita col figlio (1966) di Luigi Comencini. In questo film il bimbo Andrea, già orfano di madre, agonizza dopo una caduta da un albero che gli ha leso la colonna vertebrale e muore tra le braccia del padre, un diplomatico inglese sempre assente per impegni di lavoro e poco attento ai bisogni del figliolo. Un vero pugno nello stomaco! Attore protagonista era il bambino Stefano Colagrande, talmente segnato da quell’unica esperienza cinematografica da laurearsi poi in medicina. Oggi è un apprezzato medico radiologo e docente universitario a Firenze. Il successo del film di Comencini è stato però seguito da decine di volgari imitazioni che hanno poi costituito lo stramaledetto filone lacrima-movies, vero incubo dei bambini degli anni '70. Film-simbolo del genere resta L’Ultima neve di Primavera di tale Raimondo Del Balzo, che mi ritrovai a vedere con tante altre famigliole un sabato sera del luglio '73 in vacanza a Varazze, quando non avevo nemmeno sette anni. Straziante la trama: il bambino protagonista muore consumato da una leucemia fulminante tra le braccia del padre, come al solito assente per impegni di lavoro, in un luna-park aperto solo per lui. A completare il dramma una toccante colonna sonora. Il bambino protagonista somigliava tanto a com’ero io da bambino: biondo, occhi chiari e si chiamava pure Luca! Ma erano tanti i bambini che guardavano stupiti i genitori in lacrime alla fine del film. Oggi per una cosa del genere si muoverebbe il Telefono Azzurro, ma all’epoca non c’era scelta nei cinema di mare: ce n’era uno a settimana! Il bambino protagonista dei film strappalacrime era quasi sempre Renato Cestié, che anni più tardi avremmo rivisto ne I ragazzi della Terza C per poi ritirarsi definitivamente dalle scene, forse scioccato da reminiscenze infantili di film in cui moriva sempre. Nel film strappalacrime che si rispetti si narra la malattia con morte di un bambino, aggravata da genitori assenti.  Più raramente a morire è un genitore, ma eccovi una lista dei lacrima-movies più noti.

  • La bellissima estate (1974): qui c’è la doppia morte del padre pilota di Formula 1 e del fanciullo (impersonato da Alessandro Cocco) che, disperato, cerca di emulare il genitore schiantandosi con una carretta-giocattolo. La madre al capezzale può solo piangere sul corpo deturpato del figlio.

  • Bianchi cavalli d’agosto (1974): unico caso in cui il bambino (Renato Cestié) viene risparmiato, ma agonizza quanto basta per strappare le dovute lacrime. Per certi versi, un passo falso.

  • Ancora una volta a Venezia (1974): un insieme di tragedie con l’inevitabile morte del bimbo (Sven Valsecchi), un suicidio, una famiglia sfasciata, con un finale straziante a Venezia!

  • L’albero dalle foglie rosa (1975): il bambino (ancora Renato Cestiè) fugge da una famiglia divorziata che lo odia. Un’auto travolgerà il padre e il bimbo e abbraccerà il tronco di un pesco per la sua ultima inutile preghiera.

  • Il venditore di palloncini (1975): un’anemia mortale incombe sul piccolo (il solito Renato Cestiè), finché un venditore di palloncini gli strapperà un ultimo sorriso.

  • Piange il telefono (1975): qui il lutto del minore viene risparmiato perché a crepare, stroncato dal solito male incurabile, è un ex pilota civile che torna dalla vecchia fiamma per conoscere la figlia avuta a sua insaputa anni prima (Francesca Guadagno)

  • Questo si che è amore (1978): qui il bambino (Sven Valsecchi) è consapevole della sua malattia: si aggrappa alla vita, cercando di salvare il matrimonio dei genitori senza fortuna.

  • Stringimi forte papà (1978): disgrazie a catena in ambiente circense per il bambino (Enrico Curatolo) che nell’ordine vede il morire il padre, la madre mignotta rifidanzarsi con uno stronzo che gli vende l’adorata cagnetta e lo spedisce in collegio. Ma non è finita: finalmente per il piccolo c’è un nuovo gentile papà, ma ovviamente muore pure lui.

  • L’ultimo sapore dell’aria (1978): qui il bambino è un po’ più grandicello (Carlo Lupo), sportivo ed entusiasta, ma ovviamente muore per una malattia mortale prima di coronare il sogno di diventare un grande nuotatore.

  • Profumi e balocchi (1980): la bambina (Lesley d’Olive) muore dopo una broncopolmonite e una fuga dal collegio, mentre i genitori lasciano un profumino sul suo tavolino dei trucchi.

Questi i principali

lacrima-movies

, vero incubo degli anni ’70. E un sentitissimo vaffanculo, per non augurare di peggio, a registi e sceneggiatori che hanno vigliaccamente speculato per oltre un decennio sui sentimenti delle famiglie italiane.

Un ringraziamento a Markus

http://www.davinotti.com/index.php?option=com_content&task=view&id=175&Itemid=79

per l'ispirazione

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