Di Fabio Monti da Corriere della Sera, lunedì 22 marzo 2010 Così aveva parlato Marcello Lippi sull' Inter a Sky, sabato sera, prima che iniziasse la partita di Palermo: «Grandissima squadra, ma non è italiana. Il nostro calcio non può essere giudicato guardando all' Inter, ma attraverso le squadre dove ci sono tanti calciatori italiani bravi e tantissimi allenatori italiani bravissimi». L' osservazione del c.t. campione del mondo in carica è descrittivamente vicina alla realtà, sebbene Santon, Balotelli e Materazzi (più Toldo) siano italiani e per questo selezionabili per la nazionale, così come Thiago Motta, che è nato a São Bernardo, in Brasile, ma da genitori italiani. Così come hanno doppio passaporto (italiano e argentino) Zanetti e Cambiasso. Semmai le parole di Lippi non sembrano tener conto di una nuova realtà che riguarda tutti i club europei (o mondiali): migrazione e globalizzazione sono fenomeni che coinvolgono in maniera consistente anche lo sport e il calcio. I «giocatori provenienti da federazione estera» (definizione classica della Fifa) sono tantissimi anche nei club di vertice della Premier League e Florentino Perez ha puntato soprattutto sugli stranieri per rafforzare il Real. Per questo, sarebbe forse più utile riflettere sul futuro delle nazionali e sulla composizione delle medesime. È certo però che, al di là di un feeling mai sbocciato fra l' Inter e Lippi, che l' ha persino allenata dal 1° luglio ' 99 al 3 ottobre 2000 (e non agratis, come avrebbero detto i vecchi milanesi), l' italianità della squadra nerazzurra non è mai stato un caposaldo ideologico di Massimo Moratti. Non lo è per molte ragioni, anche storiche, ma soprattutto strategiche. La storia. Nello statuto della società nerazzurra, fondata il 9 marzo 1908, è scritto: «Scopo precipuo del nuovo club è di facilitare l' esercizio del calcio agli stranieri residenti a Milano e diffondere la passione tra la gioventù milanese». Il pensiero. Da quando Massimo Moratti ha preso l' Inter (sabato 18 febbraio 1995), non ha mai concepito l' idea di scavare una divisione ideologica fra giocatori italiani e stranieri. Ha sempre cercato campioni veri, semmai con un' attenzione particolare (qualche volta persino troppo accentuata) per quei calciatori con caratteristiche di spettacolarità e genialità in linea con la storia nerazzurra, da Meazza a Corso, da Skoglund a Ronaldo, da Beccalossi e Djorkaeff a Ibrahimovic. Il genio prima ancora della concretezza, mai il passaporto. Ha cercato gli stranieri anche per rispetto alla cultura e alla tradizione di Milano. La sua idea di Inter è uguale all' idea di Milano: «Leggo la storia della città. Una storia, secolare, di apertura agli altri, con gente che arriva, lavora, dà molto. Milano sa accettare e integrare quanto c' è di nuovo e di buono: è la chiave del passato e del futuro. Milano è anche fortunata: sono gli altri che ci cercano e ci vogliono. Basta rendersene conto. Il destino di Milano è aprirsi e non chiudersi, cercare spazi e non accettare limiti. La città è di chi sa lavorare, e lo fa bene, con passione, anche se viene da fuori». Resta il fatto che l'Inter rimane una realtà profondamente radicata nel territorio e non soltanto perché la nuova sede, sistemata in corso Vittorio Emanuele, è a trecento metri dal Duomo. Pur dovendo allenarsi ad Appiano Gentile, in provincia di Como, la maggioranza assoluta dei giocatori nerazzurri vive a Milano, con pochissime eccezioni (Zanetti e Cordoba più Mourinho). Se ne sono andati Vieira e Ibrahimovic, che vivevano fra corso Magenta e via Torino, ma hanno scelto la città (e non il lago) anche i nuovi arrivati, da Eto' o (in pieno centro) a Lucio, da Thiago Motta a Sneijder. Ma Diego Milito ha battuto tutti, nella corsa alla milanesità: ieri, poco prima di mezzogiorno, è nata Agustina, la secondogenita dell' attaccante argentino. Avrebbe potuto farla nascere in Argentina o a Genova e invece ha scelto Milano, come un modo per confermare di trovarsi benissimo in questa città. Zanetti ha scelto il lago di Como, ma a Milano ha aperto un ristorante (con cucina argentina), frequentato dai compagni e apprezzato pure dai milanesi. E, sempre a Milano, Zanetti, insieme con Cambiasso, ha organizzato una scuola calcio. Nome affascinante, «Leoni di potrero», dove potrero sta per oratorio. Un' iniziativa che ha raccolto un notevole successo fra i ragazzi. È a Milano, zona Affori, il centro dedicato a Giacinto Facchetti, dove si allenano tutte le squadre giovanili, fino alla Primavera, dove giocano insieme ragazzi italiani e quelli provenienti da mezzo mondo. Ma la sintesi di questo «modello Inter», è Mario Balotelli, 19 anni e mezzo, nato a Palermo da genitori ghanesi, cresciuto a Brescia da una famiglia italianissima. La «sua» famiglia. Al di là dei dissidi con Mourinho, che nello specifico non c' entrano, Balotelli è il simbolo di un Paese che prova ad essere diverso, anche se non sempre ci riesce.
top of page
Post recenti
Mostra tuttiOggi sul Corriere della Sera il punto di vista rossonero e nerazzurro sullo Scudetto: io la penso così!
9.6.2021 Oggi su Il Giorno, il grande ritorno di Aristoteles, protagonista del cult-movie 'L'allenatore nel Pallone'. Il grande bomber...
bottom of page