Pubblicato su Il Giornale, venerdì 2 gennaio 2009 Tra i tanti test che affollano riviste e rotocalchi di questi tempi è strano che non vi sia un ‘test Adriano’, per misurare la pazienza dell’individuo medio. Nella storia dell’Inter calciatori capaci di mettere a dura prova i nervi dei tifosi ce ne sono stati parecchi, Recoba su tutti, ma nessuno come Adriano è riuscito a stancare anche Massimo Moratti, presidente da sempre troppo buono con i suoi calciatori. La domanda su come comportarsi con Adriano ha origini lontane. Ne era già angustiato il compianto Giacinto Facchetti che nel febbraio 2006, prima di decollare con la squadra da Malpensa per la trasferta di Champions League con l’Ajax, confidò che Adriano non era per nulla disposto a farsi aiutare. Sono passati due anni ed è cambiato tutto, tranne Adriano. Facchetti non c’è più. E non c’è più nemmeno Roberto Mancini, che sembrava il cattivo della storia. A questo proposito è doveroso ribadire ancora una volta che il responsabile dell’esclusione di Adriano dalla lista di Champions League di un anno fa non fu Mancini ma lo stesso Moratti, che lo spedì in Brasile per sei mesi. Mourinho ha poi alternato bastone e carota, fino a perdere le staffe con una raffica impressionante di esclusioni punitive alle infrazioni di Adriano, che forse sono state anche più serie e più numerose di quelle ammesse ufficialmente. Con lo Special One però, la favoletta dell’incomprensione usata con Mancini non regge. I risultati del test della pazienza ormai non lasciano più scampo: io non ho più fiducia nel miracoloso recupero di Adriano. A differenza di tanti altri, Adriano ha avuto dall’Inter molto più di quello che ha dato e se altrove dovesse davvero tornare un campione, me ne farò una ragione. I rimorsi però fanno assai meno male dei rimpianti.
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